Quando mi capita di dover spiegare cosa sono i Cie (centri di identificazione ed espulsione) ho sempre delle difficoltà.
A volte me lo chiedono nelle scuole dove vado a parlare di diritti e Costituzione. A volte me lo chiedono i migranti, a volte gli stessi che nei Cie vengono rinchiusi o i loro parenti.

Sono delle gabbie, delle gabbie per migranti irregolari.

Sono luoghi di ordinaria tortura dove per legge gli stranieri irregolari possono essere imprigionati anche per diciotto mesi a spese dei contribuenti.

Non sono prigioni vere e proprie ma luoghi di detenzione amministrativa dove le persone sono private della libertà (e spesso anche della dignità) non per quello che fanno ma per quello che sono; non perché accusati di un qualche reato ma perché privi, loro malgrado, del permesso di soggiorno.

I Cie sono “parcheggi” dove dovrebbero essere imprigionati i migranti in attesa di essere identificati ed espulsi nel loro Paese.
Qui finiscono in realtà stranieri già perfettamente identificati o identificabili che potrebbero essere accompagnati nel Paese di origine immediatamente (come prescrive la direttiva Ce 115/2008) o che non dovrebbero mai essere espulsi perché aventi diritto e bisognosi di protezione in ottemperanza alle Convenzioni internazionali.

Nei Cie puoi trovare ex detenuti (dunque persone che dovrebbero essere già state identificate) che prima ancora di riempirsi i polmoni di aria libera vengono nuovamente imprigionati. Tossicodipendenti e malati psichici bisognosi di cure e non di sbarre, donne vittime di tratta meritevoli di un permesso per protezione sociale, richiedenti asilo e rifugiati, oppure migranti che dopo aver perso il lavoro si sono visti rifiutare il permesso di soggiorno e sono diventati irregolari. La nostra legge sull’immigrazione rende difficile se non impossibile ottenere il titolo di soggiorno e facilissimo perderlo. La nostra attuale normativa è una fabbrica di clandestinità.

Così se si è stranieri, ci si può trovare irregolari, perché il visto di ingresso per turismo scade e non si può rinnovare, perché si perde il lavoro e dunque il permesso, perché se hai un permesso per famiglia ma ti sei separata da tuo marito che magari ti picchiava non ti rinnoveranno il soggiorno, perché se si nasce nel nostro paese da un ventre straniero si è comunque stranieri e a diciotto anni si può essere espulsi. E così via. Le strade per la clandestinità sono infinite.

E così si è costretti a nascondersi in attesa della prossima sanatoria. Ma se nell’attesa, per pura sfortuna, ci s’imbatte in qualche divisa si rischia di essere espulsi e rinchiusi.
Per raccontare i Cie bisogna vedere gli occhi di chi lo popola. La loro sbigottita disperazione. L’umiliazione di essere rinchiusi perché si è diversi. La paura delle divise, della prigionia, della convivenza forzata, del rimpatrio. 

Allora si può intuire perché vadano a fuoco materassi o corpi, perché ingoino lamette, pile e detergenti, perché ci s’impicchi con lenzuola di carta o lacci, perché si taglino con vetri i polsi e le vene, perché la distruzione e la morte sembrino più vicine e appetibili di quella vita in gabbia.

Mi hanno chiesto di commentare la rivolta dei giorni scorsi nel Cie di Ponte Galeria a Roma. Ma non si può parlare di questi detenuti sofferenti e rivoltosi senza parlare di tutti loro. E non si può parlare di loro se non parlando di noi e delle nostre leggi. Iniziando a domandarsi se rinchiudere ed espellere esseri umani senza colpa sia, oltre che sicuramente costoso e fallimentare, evidentemente ingiusto. E se non vi sia, come c’è, un’altra soluzione possibile, che tuteli la dignità degli immigrati, nel rispetto delle direttive europee e della nostra Costituzione. Queste soluzioni sensate, legali ed economiche sono già state scritte e riscritte negli anni da giuristi ed esperti e recentemente divulgate dalla Campagna LasciateCie entrare. Mi piacerebbe che il prossimo Parlamento le tramutasse in leggi. Perché vivere in un Paese che, come prevede la nostra Costituzione, “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo” (anziché violarli) è l’unica soluzione per chi vuole vivere in sicurezza. Perché non è possibile alcuna sicurezza senza legalità e “ogni violazione dei diritti umani non è solo un fatto eticamente riprovevole ma una vera e propria violazione della legalità” (introduzione al Rapporto Commissione Diritti Umani presso il Senato). 

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