Le parole del direttore generale Andrea Mangoni non lasciano spazio a dubbi: “È finita una fase professionale, succede”. Sono tra le poche dichiarazioni della giornata di battaglia di Telecom Italia. È un altro dei fedelissimi del presidente Franco Bernabè che getta la spugna in pochi mesi, dopo il direttore delle relazioni esterne Carlo Fornaro e il numero uno di La7 Giovanni Stella.

Nella seduta fiume del consiglio d’amministrazione lo scontro sulla vendita della tv fa da sfondo al braccio di ferro più antico e profondo, quello sui conti. La Telco, che controlla Telecom Italia e il suo cda con appena il 15 per cento del capitale, pretende ogni anno un ricco dividendo per pagare gli interessi sui debiti fatti per comprare le azioni. Bernabè resiste, perché quei soldi servirebbero a risanare un’azienda gravata da quasi 30 miliardi di debiti, e lo scontro è culminato nella primavera 2011 nella sua promozione a presidente per fare spazio al nuovo ad, Marco Patuano, considerato più attento agli umori di Mediobanca, vero dominus della partita Telecom.

La storia di Telco è esemplare delle perversioni del capitalismo di relazione, dominato dall’oligarchia detta comunemente “salotto buono”. Nel 2007, per togliere alla Pirelli di Marco Tronchetti Provera il peso di Telecom Italia garantendone la mai troppo lodata italianità, alla spagnola Telefonica si affiancano Mediobanca, Intesa Sanpaolo e Assicurazioni Generali. Costituiscono una cassaforte apposita, la Telco, e investono oltre 8 miliardi di euro per pagare le azioni a Tronchetti 2,82 euro l’una, quando in Borsa navigano a poco più di 2 euro. Naturalmente la prima banca italiana, la prima compagnia di assicurazioni italiana e la prima banca d’affari italiana non ci mettono i soldi, ma indebitano la Telco con altre banche.

Da cinque anni la giostra gira vorticosamente. Telco ha debiti per 3,3 miliardi di euro, deve pagare gli interessi, ma ha un unico introito, i dividendi distribuiti da Telecom Italia. La quale ha a sua volta 30 miliardi di debiti, quelli fatti da Roberto Colaninno per scalarla e poi scaricati sulla società preda, come insegnano i manuali di finanza etica. Telecom dovrebbe tenere gli utili in cassa per ridurre i debiti e magari poter investire di più, ma da sei anni chi prova a tagliare il dividendo ci lascia le mani. Il primo fu Guido Rossi nel 2006, disse che non era sostenibile un dividendo così alto, e Tronchetti lo cacciò.

Dal 2007 è Franco Bernabè che ci prova ogni anno, e ogni anno viene messo sotto dagli azionisti Telco che pretendono la cedola, e regolarmente la ottengono: negli ultimi cinque anni Telecom ha dato agli azionisti quasi 6 miliardi di euro. L’anno scorso Telco si è presa 129 milioni di euro, bastati appena a pagare gli interessi, e solo grazie al fatto che tra le banche creditrici c’è il generoso Monte dei Paschi, noto alle cronache per l’oculatezza del suo management: l’ex presidente Giuseppe Mussari ha prestato a Telco 600 milioni di euro a un tasso attualmente attorno all’1 per cento. Ma nella vicenda Telco anche le blasonate Mediobanca, Intesa e Generali fanno a gara a buttare i soldi. Negli ultimi due anni Telco ha bruciato oltre 2 miliardi di capitale, a causa della svalutazione delle azioni Telecom, che però ancora oggi Telco iscrive in bilancio a 4,5 miliardi quando il loro valore reale è poco più di due miliardi. Insomma, hanno distrutto almeno 4 miliardi al servizio di un disegno di potere: comandare su Telecom e sui suoi appalti, che valgono miliardi ogni anno.

Twitter @giorgiomeletti

Da Il Fatto Quotidiano dell’8 febbraio 2013

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