Da vent’anni si tenta inutilmente di spiegare a Silvio Berlusconi che democrazia non significa che chi prende più voti può fare quello che gli/le pare: ci sarebbe anche una cosuccia chiamata legalità. Peggio. La sensazione, purtroppo, è che il suo vizio di piegare regole e leggi ai propri interessi sia stato contagioso. Forse nasce da qui il susseguirsi di violazioni e deroghe, in barba a statuti e regolamenti, che affligge il Partito Democratico.

Pier Luigi Bersani rivendica giustamente che il Pd è l’unico partito che, con le primarie, ha affidato ai propri militanti ed elettori la scelta del 90% dei candidati al Parlamento. Esperimento meritevole, specie non essendo riusciti (o non avendo voluto?) modificare in Parlamento il famigerato porcellum, legge elettorale che tutti a parole aborrono. In vista delle primarie di fine anno il Pd, dopo aver respinto la richiesta di vere quote rosa (50% di donne in lista), si è dato la seguente regola: “Per ridurre al minimo la necessità di interventi di riequilibrio di genere su base regionale dopo le primarie, le Direzioni regionali assumono il criterio dell’alternanza di genere per gli ambiti provinciali/territoriali con più di una posizione eleggibile. In ogni caso, nella riunione del 4 o 5 gennaio 2013 le Direzioni regionali decidono l’eventuale riequilibrio di genere che si renda necessario”.

Dopo un discreto successo di partecipazione, sebbene limitata ai soli elettori censiti nelle precedenti primarie per la scelta del candidato premier, il Pd non smentisce la sua vocazione all’autolesionismo: sebbene a norma di regolamento il 7° posto in lista spetterebbe a Paolo Bolognesi, subito si sono levati gli scudi di chi rivendica il primato del consenso su quello delle regole. Sandra Zampa, ex portavoce di Romano Prodi, ha gridato allo scandalo: “io ho preso più voti”… Basterebbe questo a rendere poco seria e poco democratica l’annunciata esclusione di Bolognesi e, con essa, queste primarie. Eppure c’è di più e c’è di peggio. Un altro passaggio del suddetto regolamento recita: “I candidati devono sottoscrivere inoltre, a pena di decadenza, un impegno a (…) non avvalersi di qualsiasi forma di pubblicità a pagamento”. Chiunque frequenti Facebook ha potuto verificare quanto poco sia stata rispettata questa regola da alcuni candidati di Bologna, compresa la diretta interessata.

Alla questione del rispetto delle regole si aggiunge poi un legittimo dubbio: cosa sarebbe successo se fosse stato un uomo a rivendicare il presunto diritto a scavalcare una donna in virtù di un maggiore numero di voti? Probabilmente le accuse di maschilismo si sarebbero sprecate. Chissà se le future deputate e senatrici del Pd spenderanno altrettante energie per chiedere l’elezione di una donna al Quirinale…

Infine, un suggerimento non richiesto. Per uno strano concetto di meritocrazia pare che alcuni parlamentari uscenti abbiano “prenotato” un posto nel listino di Bersani, senza dover affrontare le primarie: a questo punto non sarebbe più logico, più democratico e più di buon senso che al posto di un Gian Carlo Sangalli o di un Gianluca Benamati nel listino del segretario ci finisse Sandra Zampa?

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