Il paese ha un forte ritardo sull’implementazione dell’agenda digitale, elemento fondamentale per spingere la crescita economica. Il Governo ha finalmente avviato l’Agenzia del settore. Che però è circondata da incertezza di norme, responsabilità e raccordi istituzionali.

di Alfonso Fuggetta (fonte: lavoce.info)

È grazie all’innovazione digitale che le pubbliche amministrazioni, le imprese e la società nel suo complesso possono trovare quella leva decisiva per compiere un marcato avanzamento in tema di qualità dell’offerta, efficienza di funzionamento, contributo allo sviluppo e alla crescita del paese. In questo settore il paese sconta un ritardo grave, innanzi tutto per ciò che concerne la comprensione del tema e la capacità di impostare iniziative lungimiranti e organiche, in grado di promuovere una innovazione digitale diffusa in tutti i comparti della società e dell’economia.

Che cosa è stato fatto
La prima iniziativa del Governo Monti in tema di agenda digitale è stata la costituzione della cabina di regia. Nata riunendo esperti e dirigenti dei diversi ministeri coinvolti, la cabina in realtà non poteva che essere un passaggio provvisorio verso un assetto compiuto e organicamente inserito all’interno della struttura di governo del paese. Tale trasformazione è partita con la creazione dell’Agenzia per l’Italia digitale. Manca ancora, però, un raccordo chiaro e organico tra Agenzia e Governo. Secondo molti, sarebbe stato opportuno legare l’Agenzia direttamente alla presidenza del Consiglio. Al momento, l’Agenzia riporta in modo indistinto e poco convincente ai diversi ministeri potenzialmente interessati ai temi collegati all’innovazione digitale.

Il secondo atto significativo del Governo è stato il decreto legge del 18 ottobre 2012, contenente “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese” e in particolare una serie di norme in tema di agenda digitale. Tali norme non coprono tutti gli aspetti di interesse per lo sviluppo dell’agenda e, in ogni caso, hanno bisogno di essere fortemente precisate e potenziate quanto meno per quanto riguarda due aree particolarmente critiche:

  • Il disegno organico – o quanto meno una convincente strategia di ridisegno – del sistema di e-government del paese, che imposti un modello razionale delle basi di dati e dei sistemi di interesse strategico. È fondamentale impedire la messa in campo di interventi parziali, disorganici e di corto respiro.
  • La chiara identificazione di responsabilità e guida nella scrittura e redazione delle norme tecniche necessarie per l’attuazione di quanto definito nel decreto. Al momento, questo compito è affidato a una serie di atti congiunti di una molteplicità di ministeri ed enti (come il Garante della privacy e l’Istat). In molti casi ciò avviene senza nemmeno coinvolgere la neonata Agenzia. È necessario, quindi, un ripensamento dell’impianto previsto dal decreto su questi temi. 

In generale, il decreto al momento appare un insieme di iniziative puntuali dettate dai diversi attori coinvolti nella sua scrittura, piuttosto che un organico strumento che definisca e promuova un coerente e diffuso percorso di innovazione digitale. E non mancano certo fondati timori che il cammino parlamentare di conversione in legge non possa che ulteriormente indebolirne l’impianto complessivo.

Cosa deve essere ancora avviato
In generale, per avviare in modo convinto un reale programma di promozione dell’innovazione digitale, è necessario intervenire su una serie di questioni critiche.

1. Una convincente governance dell’innovazione. È vitale definire in modo chiaro compiti, strumenti di intervento e risorse economiche della neonata Agenzia, ponendola al centro dei processi di costruzione delle norme e dei regolamenti in tema di innovazione digitale. È altresì vitale collegare l’Agenzia in modo chiaro e convincente al Governo e alla presidenza del Consiglio.

2. Visione strategica e capacità progettuale. L’Agenzia e il Governo devono definire e promuovere una visione strategica e una capacità progettuale in tema di innovazione digitale che definiscano l’obiettivo a tendere e, conseguentemente, stabiliscano i parametri di giudizio e i criteri decisionali per le scelte che dovranno essere assunte nel corso dei programmi specifici di intervento.

3. Un nuovo rapporto tra Stato, Regioni ed enti locali. È vitale definire un nuovo modello di collaborazione (e possibilmente un riordino di competenze) tra i diversi livelli dello Stato e delle pubbliche amministrazioni per superare la sovrapposizione di competenze, i conflitti e, in generale la paralisi e lentezza nei quali versano la gran parte delle iniziative degli ultimi anni.

4. Una normativa che promuova l’innovazione digitale diffusa. Anche in raccordo con l’Unione Europea (si pensi al caso dell’Iva sui prodotti digitali e all’e-commerce in generale) è necessario definire un organico programma di misure che promuova e renda conveniente l’utilizzo dei canali digitali rispetto a quelli tradizionali. È anche necessario rivedere le norme sulla privacy, specialmente nella interazione tra diverse pubbliche amministrazioni, norme che al momento più che una tutela del cittadino costituiscono un ostacolo a diffusi processi di innovazione digitale.

*Alfonso Fuggetta è professore ordinario di Informatica presso il Politecnico di Milano e Faculty Associate presso l’Institute for Software Research (ISR) della University of California, Irvine (UCI, USA).

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