L’obiettivo prioritario è stato il riequilibrio dei conti pubblici. Ottenuto soprattutto attraverso l’aumento della pressione tributaria. Alcune misure risentono dell’urgenza con cui sono state disegnate e andranno riviste. Molto resta da fare: dalla riforma fiscale al riordino dell’intero sistema di finanza locale. 

di Maria Flavia AmbrosanioMassimo Bordignon, lavoce.info, 15.11.2012

Il riequilibrio dei conti pubblici è stato l’obiettivo prioritario del Governo Monti e ha guidato la maggior parte degli interventi sulle entrate e spese pubbliche e sugli enti locali. Alcune delle misure approvate risentono tuttavia dell’urgenza con cui sono state disegnate e occorrerà rivederle, anche molto rapidamente. Molto resta ancora da fare, dalla riforma fiscale al riordino dell’intero sistema di finanza locale. 

Cosa è stato fatto

Il Governo Monti ha riequilibrato i conti pubblici, attraverso l’aumento della pressione tributaria erariale e locale. In confronto, molto modesti sono stati gli interventi dal lato della spesa (eccetto che per le pensioni). La spending review si è limitata finora a qualche tentativo di riorganizzazione della struttura territoriale dello stato, ad alcuni interventi di benchmarking sull’acquisto di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione locale e nazionale, e alla determinazione di qualche eccedenza di organico, in particolare per i dirigenti pubblici.

Il Governo ha cercato, sia pure con molta approssimazione, di riequilibrare il prelievo su redditi, consumi e patrimonio, correggendo l’attuale situazione che vede in Italia, rispetto agli altri paesi europei, un carico tributario maggiore sul lavoro dipendente e uno minore sui consumi (anche per la presenza di livelli più elevati di evasione) e sul patrimonio. In particolare, ha aumentato Iva e accise, introdotto la facilitazione Ace sui redditi d’impresa, introdotto la deducibilità da Ires e Irpef dell’Irap pagata sul costo del lavoro, ha aumentato la deducibilità dall’imponibile Irap del costo del lavoro per donne e giovani.
Poiché l’Iva nazionale preme su tutte le imprese nazionali ed estere che vendono sul mercato italiano, mentre l’Irap la pagano solo le imprese nazionali, si dovrebbe ottenere un effetto positivo in termini di competitività. Ma l’inasprimento di Iva e accise ha depresso la domanda interna e ha avuto effetti distributivi perversi, perché la propensione marginale al consumo è più alta per i redditi più bassi. Qualche tentativo di riequilibrio c’è stato con l’incremento dell’imposta di bollo sui patrimoni finanziari e con l’inasprimento dell’Imu sulle seconde case. Inoltre, ha tenuto invariate le aliquote Iva sui beni di prima necessità.

Il Governo non ha attuato il taglio lineare delle agevolazioni fiscali lasciato in eredità da Giulio Tremonti e ha opportunamente rinviato l’aumento delle aliquote Iva alla seconda metà del 2013. Sullo spostamento del prelievo dalle imposte dirette alle indirette, resta aperto il problema degli incapienti, coloro che hanno redditi troppo bassi per beneficiare di eventuali riduzioni dell’Irpef, ma sopportano pienamente l’onere dell’aumento dell’Iva e delle accise. Avrebbero dovuto essere compensati in qualche misura, ma nulla è stato fatto finora su questo fronte. 

Il Governo ha impiegato troppo tempo (ma forse la colpa è del Parlamento) per approvare la delega fiscale annunciata già nel dicembre scorso, che pure contiene alcune idee interessanti su evasione, catasto e redditi d’impresa. C’è il rischio che ancora una volta tutto resterà sulla carta, visti i tempi ristretti per esercitarla.

Il Governo ha dato maggiore impulso alla lotta all’evasione, anche sul  piano mediatico, ma avrebbe potuto fare di più: il prelievo sui cosiddetti capitali “scudati” è stato troppo basso, anche rispetto all’esperienza di altri paesi; qualche intervento più incisivo sarebbe stato auspicabile sugli studi di settore. Infine, restano oscure le ragioni per cui abbia prima deciso di non seguire la strada di Germania e Regno Unito nel trovare un accordo con la Svizzera per la tassazione dei capitali illegalmente detenuti dai residenti italiani, scambiando la garanzia dell’anonimato con un prelievo più elevato, salvo poi cambiare idea e cercare affannosamente, senza ancora trovarlo, un accordo.

Riguardo ai tributi locali, il Governo ha anticipato l’introduzione dell’Imu estendendola all’abitazione principale, sia pure con tutti i problemi che quest’imposta comporta; dal prossimo anno i Comuni dovrebbero poter contare anche sulla Tares (che sostituirà la Tarsu/Tia e forse altri tributi locali), ma ancora è presto per capire come funzionerà esattamente; ha aumentato l’aliquota base dell’addizionale regionale all’Irpef.

La restituzione di margini di autonomia tributaria ai governi locali è stata puntualmente accompagnata dal taglio dei trasferimenti a carico del bilancio statale e da ulteriori restrizioni nei patti di stabilità. Sempre a proposito di governi locali, il Governo ha, forse affrettatamente, esteso dal 2013 il patto di stabilità interno ai comuni sotto i 5mila abitanti, con il rischio che l’aggiustamento risulti non raggiungibile.

Il Governo è intervenuto sulla questione delle province, ma ha perso l’occasione per abolirle tutte, trasferendo funzioni e competenze a regioni e comuni; l’accorpamento rischia di essere lungo e complesso e di sollevare inutili conflitti.

È intervenuto molto timidamente sui cosiddetti costi della politica; i recenti provvedimenti sui governi locali sono stati in buona misura la risposta alle pressioni dell’opinione pubblica, in seguito agli episodi di malcostume in alcune Regioni.

Il Governo ha anche presentato un progetto di ulteriore riforma del Titolo V della Costituzione, che contiene aspetti sia negativi e positivi; ma anche in questo caso, i tempi di vita della legislatura sembrano troppo stretti perché ci sia un seguito.

Cosa è rimasto in sospeso
In questo campo, più o meno tutto resta in sospeso; occorrerà fare ordine e riprendere molti degli interventi approvati, che hanno evidentemente risentito della fretta con cui sono stati predisposti. 
Certamente, la finanza locale va rimessa in ordine; bisogna decidere se l’Imu è un’imposta erariale o comunale e agire di conseguenza; occorre dare ai governi territoriali certezza sui loro gradi di autonomia nella gestione del bilancio e fondare i trasferimenti residui su regole chiare. Anche il patto di stabilità interno andrebbe riscritto e ricondotto a poche, chiare e semplici regole, che restino stabili nel tempo; le continue modifiche e la sovrapposizione delle norme hanno prodotto un “mostro”, incomprensibile ai più.

Infine, la riforma fiscale: se ne parla da anni, ma finora i governi non sono andati oltre l’approvazione di leggi delega puntualmente decadute.

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