Secondo Leoluca Orlando, il voto di domenica in Sicilia rende evidente a tutti la morte dei partiti. Penso che abbia ragione. I partiti muoiono perché:

1. sono incapaci di governare in alcun modo la globalizzazione sfrenata della finanza, che sta privando di ogni residuo senso la politica, visto che a decidere sono sempre e comunque “i mercati” secondo le loro convenienze.

2. si trasformano in potentati personali, luoghi dove è abituale il peculato, piccole imprese a base familiare o di altro genere che concorrono tra di loro alla ricerca del modo migliore per imboscare e sottrarre pubbliche risorse. 

Ho avuto occasione di analizzare questo fenomeno nel mio saggio “La democrazia in crisi: un problema globale”, pubblicato nel 2010 nel volume Crisi della democrazia e crisi dei partiti in Italia e nel mondo, che ho curato insieme a Giovanni Incorvati.

Il processo che due anni fa era già da lungo tempo avviato si sta ulteriormente sviluppando. Da strumento democratico in mano ai cittadini i partiti si stanno definitivamente  convertendo in puri feticci in mano a un ceto politico-affaristico senza scrupoli, impegnato in lotte intestine nelle quali colpisce l’assenza di programmi politici degni di questo nome. La personalizzazione della politica, la trasformazione della comunicazione politica in propaganda pubblicitaria e la crescente importanza del denaro nella competizione politica sono del resto fenomeni comuni a tutto l’Occidente capitalistico. Basti vedere quello che succede negli Stati Uniti, che pure secondo qualcuno sono ancora la patria della democrazia.

I risultati di questa situazione è la sempre maggiore disaffezione dei cittadini nei confronti della politica, che si traduce in alti tassi di assenteismo. Questa disaffezione è inevitabile, dato il deplorevole stato in cui si trovano attualmente i partiti, ma è pericolosa perché può aprire la strada a nuovi tipi di autoritarismo, come quello di cui, larvatamente ma neanche tanto, si fa protagonista l’attuale governo dei tecnici con il sostegno del presidente Napolitano.

Non credo che l’attuale crisi dei partiti sia reversibile. Penso però che questa crisi si trascinerà ancora per molti anni, determinando un ulteriore discredito della politica e ulteriori minacce autoritarie e potrà quindi costituire un grave pericolo per la democrazia, che è cosa ben diversa e più nobile dell’attuale agonizzante sistema dei partiti.

Quali sono quindi le contromisure che si possono mettere in campo? Io penso che le seguenti siano oramai più che necessarie ed urgenti:

1. una severa moralizzazione delle finanze dei partiti con la fine dei finanziamenti pubblici e il divieto di finanziamenti privati provenienti da imprese o simili.

2. la sperimentazione di nuove forme di democrazia diretta, a partire dall’organizzazione dei cittadini sul territorio, per uno sviluppo locale sostenibile basato sulla valorizzazione dei beni comuni.

Penso che soprattutto l’attuazione di questo secondo punto sia fondamentale per salvaguardare la democrazia nel nostro Paese. Siamo destinati ad affrontare una fase transitoria di grande incertezza e ricca di pericoli, all’insegna di un crescente dualismo di poteri, con una lotta che sarà sempre più aperta e senza quartiere fra il verticismo dei poteri forti e la democrazia dal basso.

Il Movimento Cinque Stelle, cui attualmente il popolo italiano sta dando molta fiducia, pare attribuire importanza considerevole alla democrazia partecipativa. Mi pare quindi che l’esperienza che i rappresentanti di questo Movimento sono destinati a compiere nelle istituzioni vada seguita con molta attenzione e disponibilità. Se non altro l’affermazione di tale Movimento rappresenta una linfa politica nuova che può dare nuovo alimento alla nostra democrazia malata.

Ovviamente, però, il problema è molto più complesso e sta nella sfida epocale tra il potere economico e politico, come si è storicamente configurato in Italia, che trova la sua espressione più pericolosa nell’attuale governo “tecnocratico” e la volontà democratica del popolo italiano. Vedremo nel prossimo futuro chi e in che modo saprà dare espressione alle aspirazioni di quest’ultimo a una società più giusta, egualitaria ed ambientalmente sana. Certamente ne vedremo delle belle. A partire dalle mobilitazioni in corso sul terreno sindacale e locale, dagli scioperi dei prossimi giorni alle manifestazioni in Val Susa, a Taranto ed altrove, tutte iniziative che devono trovare una nuova e più proficua connessione con la sfera politica istituzionale in crisi terminale. La lotta comincia adesso. Per dirla con John Belushi, “quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare“.

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