Voi direte, che sarà mai un macaron. È un dolcetto, una meringata inventata dai francesi, caruccia e niente di più. Che c’è da dire sui macaron? Beh, un paio di cose. La prima è una notizia: Ladurée, la maison francese che contende a Hergè, il primato dei migliori macaron del mondo, dopo Milano sbarca anche a Roma. E il 25 ottobre inaugura la sua sede in pieno centro, in via Borgognona. La seconda è che basta citare la parola “macaron” e si scatena il finimondo, tra fanatici e detrattori. Così è successo dentro Puntarella Rossa. E quindi vi riportiamo lo sfogo di Agrette Sauvage, nostra firma di punta, seguito dalla replica della direzione. Naturalmente, l’ultima parola è vostra.

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Il presupposto resta sempre lo stesso. I gusti sono gusti. Non si discutono e bla bla bla. Premesso questo, lasciatecelo dire: i macaron sono dei dolcetti del cazzo. Perché? Semplice: costano un botto, sanno di poco, ingrassano parecchio e spesso, anzi, spessissimo, sono pieni di coloranti. Altro che ripieno di foie gras, di rosa o di litchi. Il vero ripieno dei macaron è un altro. E ha molteplici nomi. Si può chiamare moda, ma si può chiamare anche pecoronismo, sudditanza psicologica, mancanza di identità, debolezza caratteriale, insicurezza, devozione al packaging. A noi piace pecoronismo. Che poi è l’ingrediente base di molti altri piatti e specialità della cucina italiana di questi tempi. Vi ricordate? A un certo punto qualcuno cominciò a mangiare la rucola (pardòn, dalle nostre parti si deve dire rughetta) e giù tutti a mangiare la rucola, come se la lattuga o il songino o la valeriana non fossero mai spuntati dal suolo del pianeta Terra. Un giorno qualcun altro cominciò a usare l’aceto balsamico, quello di Modena. E tutti – anche chi fino al giorno prima non sapeva nemmeno che esistesse e a cosa servisse un prodotto del genere – hanno cominciato a farsene flebo intere (il più delle volte di pessima qualità).

Ecco, adesso qualcuno si è svegliato e ha deciso che fa fico mangiare questi pasticcini qui, i macaron. I quali, bisogna saperlo, sono dolcetti inutili. Un piccolo e insipido accumulo di carboidrati, zuccheri e grassi, un modo per ingrassare senza godere. Da pazzi, no? Che siano inutili, sia chiaro, non lo diciamo solo noi. Lo dice la storia: sono ontologicamente inutili. Che razza di affermazione è questa, direte voi? È un’affermazione arcifondata. Come spiega Larousse Gastronomique, il primo macaron (il nome viene dall’italiano maccarone) venne inventato nel 1791 da un monaco di un convento vicino a Cormery. Qualcuno sostiene che in realtà già c’era in Francia qualcosa del genere, un biscotto del tutto simile creato per Caterina de’ Medici da alcuni pasticceri italiani intorno al 1500. Ma la cosa non è certa.

Fatto sta che il macaron, originariamente, era un biscotto singolo e non doppio come ora. Ecco, la prova della sua inutilità è proprio questa: per renderlo edibile anche al di fuori del suddetto convento i pasticceri francesi furono infatti costretti a servirlo in maniera particolare, non uno alla volta come si conviene ai biscotti, ma a due a due con uno strato di qualcosa (qualunque cosa) di viscoso al centro. Ovviamente, quello non era ancora il macaron per come lo conosciamo oggi, tutto bello levigato e colorato e fichetto. Per quello bisognerà aspettare ancora qualche decina di anni e arrivare all’inizio del secolo scorso, quando il signor Ladurée (vi dice qualcosa?) di Parigi si rende conto che così com’è quel paninetto incasinato di mandorle e albume e marmellata e zucchero non va da nessuna parte. Sembra un’ostia pasticciata. E così gli fa un bel lifting. Trasformandolo nell’elegante caramellona che è oggi , una specie di marshmallow francese, insomma. Ma solo nell’aspetto. Ora, percaritadiddio, continuate pure a fare finta che vi piaccia. Che non potete farne a meno, che meno male che Ladurée adesso apre anche a Roma, Milano, Hong Kong e Frosinone. Tanto lo sappiamo tutti che ci siete cascati solo perché è colorato e lo mangiano gli hipster di tutto il mondo, e perché Sophia Coppola ve l’ha incartato per bene, lo sanno tutti che è un “brutto ma buono” travisato, e lo sanno tutti che mentre lo mangiate con aria estasiata dareste un braccio per dare un morso al nostro babà.

Ps: scusate l’ineleganza dell’aneddoto personale, ma rende l’idea di quello che volevamo dire. Qualche tempo fa eravamo in America con un nostro caro amico francese. Tipico personaggio di quella tipica sinistra che alligna in certi quartieri infami e ricchissimi di Parigi (e ormai anche a Monti). Dentro uno di quegli alberghi a sette/otto stelle che affollano la zona c’è una pasticceria francese. Il nostro amico dà un’occhiata al banco e intravede un macaron gigante. “Ullalà – esclama, come nemmeno i francesi-macchietta nelle pubblicità degli Anni 80 – il macaron!”. E ne ordina uno. Rosa. Con la panna. Orrendo. Noi, schifati, ci limitiamo a una tazza di te. Solo che il cameriere tarda un pochino a portare il macaron e il nostro amico ne approfitta per andare in bagno. Quando il cameriere arriva, il francese è ancora in bagno e a quel punto, con un po’ di sadismo infantile, autorizzati anche dal pregiudizio nei confronti dei mangiatori macaron, ci lasciamo andare a una bischerata tipo Amici Miei

Apriamo il macaron e ci mettiamo dentro due dita di sale. Facendo attenzione a richiuderlo a modo. Bene, tornato dal bagno, il nostro amico divora come niente fosse l’intero pasticcione – nel cui oceano di zucchero e panna il nostro sale si era andato a disperdere – esclamando alla fine: “Cavolo, è buono proprio come quello di Parigi”. Noi riuscimmo a non ridere e in separata sede decidemmo di non dirgli mai dello scherzo. Purtroppo una sera di qualche mese dopo, al termine di una discussione di quelle tipiche – “meglio il vino italiano o quello francese” -, siccome aveva stravinto lui con una tirata quasi scorretta che partiva dallo champagne e finiva con i vini naturali, assolutamente frustrati fummo costretti a vendicarci, raccontandogli di quella volta in cui divorò un macaron pieno di sale. Adesso non ci frequentiamo più.

Agrette Sauvage 
& Principessa Sissi 

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Caro Agrette e cari tutti,

troppo facile sparare sui macaron.

Come bombardare la Corazzata Potemkin. Come ridicolizzare Renzi. Come mettere in dubbio le virtù (politiche, sia chiaro) della Minetti. Son bravi tutti a prendere a cannonate questi oggettini dall’aria fragilina, agglomerati di coloranti, fuffa per giovinette infoiate e signore perbenino. Troppo facile. Cosa c’è di più stucchevole di una meringa azzurrognola o rosacea? La sapete una cosa? È troppo facile. Però è sbagliato. Siete superficiali se lo pensate, voi sprezzatori di macaron.

Lo pensavo anch’io, che fosse una fregatura, il macaron. E per questo fu enorme la sorpresa, anni fa, quando a Saint-Germain-des-Près vidi questi curiosi oggettini e il primo che presi mi si sciolse in bocca, lasciandomi basito. Da lontano sembravano proprio quello: meringhette dolciastre ben ordinate, con più E113 di una vecchia Orangina e un tasso di nausea vicino alla soglia di rischio. Da vicino, da molto vicino, sono un’altra cosa. Avete presente quel neologismo sciagurato inventato da Lindor, la scioglievolezza? Ecco, proprio quella. Ora che avete capito il concetto, dimenticate la parola e tenetevi il resto.

Come dite? Sembra di mangiar nulla? Ma infatti! E non è bellissimo? Prendi tra le dita le due cupolette colorate, lisce e rigide, ma fragili. Dentro, uno strato di farina di mandorle. Tra la pasta morbida e i dischi, altri due strati crespi, che danno sostanza e densità. Un equilibrio perfetto tra sapore e consistenza. Tra eleganza e gusto. I macaron sono come le ragazze parigine: un prodigio di garbo e semplicità. Un macaron è dolce e morbido come una lacrima di Anna Karina, come un bacio di Dominique Sanda, come un sorriso di Mélanie Laurent. Un miracolo.

* come dite, sono una moda e non se ne può più? Certo che lo sono. E sapete cosa c’è di più conformista del conformismo? Indovinato, il presunto anticonformismo, l’andar contro le mode. Amate e mangiate, liberi dalla zavorra di intellettuali e antiintellettuali, di trend setter e radical chic.

** ah, naturalmente la Corazzata Potemkin era un capolavoro. Mi spiace se ci siate cascati, che da Fantozzi in poi vi siate nutriti di spazzatura credendovi alternativi. Mi spiace molto se avete preferito i Vanzina a Cassavetes, Christian De Sica a Werner Herzog, Fabio Volo a Julio Cortàzar. Io li amo, i macaron. E anche la Corazzata. 

Puntarella Rossa

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