L’ex ragazzo anche senza divisa è comunque un soldato. Non mostra più il lato B come all’epoca in cui era già un divo e per farlo approdare a Sanremo servì la firma del ministro della Difesa Andreotti. Non si gira perché rifiuta di dare le spalle all’esistenza, le rughe insegnano e il disco della sua vita va ascoltato tutto. A 50 anni dai 24 mila baci nella città dei fiori, con le stesse spine di ieri e la carezza ancora stretta nel pugno, lo aspettano al varco. L’eterogenea corte marziale evocata con concitazione da Claudia Mori (“Giornali e Chiesa”) è pronta a condannare senza appello. Costi, contenuti e ambiti artistici. Celentano, come sempre, se ne infischia.

Arena di Verona. Rockeconomy. Un programma tutto suo. Ospita Mediaset. Se alla Rai le strategie aziendali coincidono con il timore della propria ombra, il filo rosso di Adriano arrotolato tra deriva mistica e mistero, restituisce il solito insopportabile, incodificabile accentratore di sempre. Organizza lui. Decide lui. Si chiama talento. Quello che apre con Svalutation è lo stesso Celentano che prima di accettare il Festival sventolava ironiche pretese: “Devo fare il presentatore, il regista, il concorrente e la giuria”, che si sposa di notte, ha paura di volare, ripara orologi di giorno e con il tempo, gioca a dadi. Così a 74 anni, ritrovarsi in un’Arena distante da quella in cui correva da ala destra sognando l’ingaggio dell’Inter, fa uno strano effetto.

Lo annulla cantando, non senza emozione, giocando con il barista nel cuore della scenografia (un pezzo di via Gluck, un anfratto di memoria), dedicando testi a Mogol e Fossati. La costruzione di un amore richiede fede. Anagraficamente, Adriano sarebbe vecchio, ma avendo anticipato la contemporaneità da un un quarantennio, lo aspettano cori, striscioni adolescenziali dalla rima facile (“Nella tana del re”, “forte più di te/ non si sa chi c’è”, “Adri 6 rock”), ragazzine dal credo monolitico e meno teste bianche del previsto. Il signore che si stupisce di avercela fatta, al sermone preferisce le canzoni. In ognuna c’è un triste Tango di presente, una traccia personale, un sole che si spegne, un riverbero di energia da opporre all’orrore. La sensazione che tra uno studio tv e una clausura brianzola, l’istante sia stato rimandato troppo a lungo. Per il vasto mondo che avrebbe voluto salutare il suo ritorno dal vivo a 18 anni dall’ultima volta, l’Arena non basta. 23.000 biglietti bruciati in 2 ore. Avvenirismo tecnologico. 500.000 richieste. Domani, forse, accadrà. Tra le rovine urlano, fotografano e pregano. Sull’altare, Celentano il domatore, quello che a tavola lasciava un posto libero per “Gesù” è suo agio. Sventola la fierezza di un primato non solo musicale e con le fiere in basso, che ne seguono le orme, non usa lo scudiscio.

Canta pezzi magnifici, duetta con Morandi dando briglia alla gag, lascia intonare ad altri le prediche sulla deriva contemporanea, sull’antropologia dominante del denaro e sulla diseguaglianza. Fa leggere Rikfin e Latouche, offre voce alle apparenti contraddizioni di Fitoussi, dialoga con Stella e Rizzo. Sullo sfondo devastazioni ambientali, città in fiamme, l’antica poetica di Adriano, il pasto nudo dell’Italia decadente. E poco importa se da Bocca, Celentano si era sentito definire “cretino di talento”. Solo i cretini non cambiano idea. E Adriano l’ossimoro, il furbo e l’idealista, il generoso e l’egocentrico, ne ha attraversate un’infinità senza mai smettere di essere curioso. Dividendo. Irritando. Conquistando. Sparigliando schemi e appartenenze.

Quando bloccò l’Italia davanti al padre putativo di questa sera strana e profonda, Rockpolitik, piacque a Giuliano Ferrara: “È un vero, grande maestro” e allarmò uno che la Milano di ringhiera descritta da Adriano la conosceva bene, Gianni Mura: “Se Celentano tutela la nostra libertà, meglio chiedere asilo a Lugano”. Da giocatore di poker, Adriano sa quando bluffare e Verona non meritava carte sotto il tavolo. Il re è rimasto un artigiano: “Il ministro del soldi degli altri ora sta parlando in tv/ dice che ancora non basta, bisogna pagare di piu’”. Come disse un giorno: “L’universo si divide tra chi sa e chi non sa. Io sa”. Scusate l’ignoranza.

Da Il Fatto Quotidiano del 9 ottobre 2012

E’ partito peraltro subito con ascolti elevati “Rock Economy”. Ieri sera lo spettacolo dall’Arena di Verona è stato seguito nella prima parte da 9 milioni 257mila spettatori con una media appena sotto il il 30 per cento (29,82), mentre la seconda parte l’hanno vista in 9 milioni 159mila spettatori con share del 30,87%. La terza parte, infine, l’hanno vista 8 milioni 509mila spettatori e lo share è stato del 34,49 per cento. Dai primi commenti in ambienti Mediaset si evince soddisfazione per questo risultato, e si guarda a stasera, secondo e ultimo appuntamento del programma di Celentano.

Articolo Precedente

Europa 7, la piccola rivincita della tv “esiliata”: trasmetterà le partite di serie B

next
Articolo Successivo

Cameron si arrende e inizia a cinguettare, ma non troppo

next