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Rachel Carson, la cultura ecologica è un valore politico

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Il 27 settembre del 1962 usciva nelle librerie americane “Silent Spring”, il libro sulle conseguenze dell’uso massiccio di Ddt nell’agricoltura estensiva con cui Rachel Carson fondò il movimento ambientalista degli Stati Uniti. Come racconta in un lungo articolo biografico il New York Times, gli effetti distruttivi dei pesticidi sulla biodiversità delle campagne e il rischio concreto che il Ddt, una volta immesso nell’ambiente, risalisse la catena alimentare raggiungendo anche l’uomo, erano noti da tempo. Ma Rachel Carson per prima raccolse i dati allora disponibili rendendoli comprensibili al pubblico e traendone conclusioni di ampio respiro.

La Carson divenne una “citizen scientist” e avvicinò l’ecologia alla vita delle persone. Da quel giorno di settembre i cittadini americani si sentirono maggiormente coinvolti nelle scelte ambientali del proprio Paese e compresero che l’impegno personale e il senso di responsabilità verso il futuro e la comunità potevano fare la differenza. La stessa Carson definì “citizen’s brigade” i cittadini che si organizzavano tra loro per prendere posizione contro politiche ambientali nocive.

A cinquanta anni di distanza da quell’autunno che accese di passione civile un pubblico fino a quel momento totalmente digiuno di ecologia, i movimenti dal basso sono diventati i protagonisti della presa di coscienza globale sul cambiamento climatico. “Silent Spring” non è stato solo un best seller; è stato anche un libro capace di usare un linguaggio diverso per raccontare il rapporto tra uomo e ambiente, a tratti sentimentale e romantico, ma saldamente ancorato alle evidenze scientifiche.

Il testamento della Carson ci ricorda che la cultura ecologica non deve essere un privilegio dell’Accademia, ma un valore collettivo, da condividere e da diffondere. Solo così dati, statistiche e grafici possono raggiungere il livello zero – la vita quotidiana – e trasformarsi in strategie di azione. Non è un caso che “conoscenza e consapevolezza” rientrino nel programma di adattamento al cambiamento climatico della Comunità Europea.

Alle preoccupazioni sulle sostanze chimiche di sintesi degli anni Sessanta si assommano ora gli allarmi su come il riscaldamento del Pianeta impatterà sugli ecosistemi. Ma come intuì Rachel Carson, ed è questo che ci rimane del suo coraggio e del suo impegno scientifico, la salvaguardia della biodiversità è una faccenda che riguarda essenzialmente la nostra salute. Lo mostrano con chiarezza Eric Chivian e Aaron Bernstein della Harvard Medical School nel libro “Sustaining Life”.

Di Elisabetta Corrà

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