Era solo questione di tempo, doveva succedere. Il 19 settembre, a Roma, si è parlato di futuro. Si è parlato di nuovi equilibri di forze, di relazioni multipolari a geometria variabile, si è parlato, per farla breve, della nuova Unione Euroasiatica.

Russia, Bielorussia e Kazakistan dai primi di gennaio 2012 sono, a tutti gli effetti, un’unione con caratteristiche simili alla nostra Unione Europea (UE): libertà di circolazione per persone, capitali, beni e servizi. I tre ambasciatori dei rispettivi Stati si sono ritrovati a settembre, coordinati dall’Isag (l’Istituto di Alti studi in Geopolitica e scienze ausiliarie) con il patrocinio del Ministero degli Esteri e il ministero dello sviluppo economico, per spiegare in concreto, cosa questa Unione significhi.

Chiariamo una cosa. Qui non si parla di una nuova Urss. Questa conferenza, prima nel suo genere in Italia, ha delineato la futura evoluzione dell’Eurasia. Con questo nome sono solito intendere, semplificando, quella vasta area continentale che parte da Lisbona e arriva fino ai confini orientali dello Stato russo. Non è un caso che i convenuti alla conferenza, che ho avuto l’onore di moderare, abbiano suggerito una futuribile alleanza tra l’Ue e la nuova Unione Euroasiatica. La creazione di uno spazio economico che crei pace e prosperità a partire da Lisbona fino a Vladivostok.

All’evento hanno partecipato una decina di ambasciate, camere di commercio e membri del nostro parlamento. L’importanza dell’evento è qualcosa che va oltre il gossip di politica internazionale. In sostanza, per offrire una visione più ampia, ora il mondo è quasi totalmente strutturato in cluster (grappoli). Il cluster Nafta (USA, Canada, Messico), il cluster Latam (tutto il blocco latino americano, il cluster europeo (l’UE), il cluster asiatico (con una geometria mutevole dove Cina e India giocano un ruolo primario), il cluster mediorientale, tuttora in cerca della sua visione politica unitaria. A queste macro aree, non per forza così unite politicamente o economicamente come potrebbe sembrare dalla mia descrizione, oggi si aggiunge l’Unione Euroasiatica.
Restano esclusi alcuni paesi che, per importanza strategica o posizione geografica, saranno oggetto di attenzione da parte di uno o più cluster. Prima di tutto l’Africa, con le sue immense risorse tuttora contese, l’AsiaStan ( Uzbekistan, Tajikistan, Kyrgizystan, Turkmenistan, a cui aggiungiamo come ospite d’onore la Mongolia) che potrebbe essere invitata a partecipare alla Unione Euroasiatica.

Quest’unione è una minaccia per la Ue, o per noi italiani? A mio avviso no o meglio dire non proprio. Se l’Ue avrà il coraggio di scegliere una politica estera eurocentrica, dove con questo termine intendo chela Ue persegua prima di tutto gli interessi dei cittadini europei e non sia una “spalla” per gli interessi di altre nazioni non appartenenti al cluster europeo, l’Unione Euroasiatica potrebbe rivelarsi un valido partner.

Citando l’ambasciatore Kazako Yelemessov, presente alla conferenza, “ L’unione fa la forza”. Un coordinamento tra UE e Unione Euroasiatica, basata su una condivisa visione di rapporti commerciali, diritti umani e crescita sostenibile, potrebbe affievolire gli effetti negativi che la crisi economica, tuttora in via di sviluppo, sta generando. L’Ue ha molto da offrire: un mercato ancora ricco (paragonato ad altre nazioni), tradizioni di storia e cultura che affascinano gli euroasiatici. L’unione Euroasiatica può offrire materie prime a basso costo e centri di ricerca tecnologica di tutto rispetto. L’ambasciatore bielorusso Shestakov ha sintetizzato brevemente alcuni vantaggi che la sua nazione, all’interno dell’Unione, può offrire all’Italia: “Nel distretto industriale di Brest stiamo attivando uno sportello per le imprese italiane. Gli investitori italiani possono avere accesso a importanti opportunità di crescita grazie alla preesistente infrastruttura di ricerca tecnologica, l’accesso a materie prime esenti da dazi doganali e agevolazioni tariffarie. Dal 2012 gli investimenti italiani sono stati superiori ai 180 milioni di dollari.”

In quanto Italiani tradizionalmente creativi, imprenditori e, a volte, spregiudicati, dobbiamo porci una domanda. Siamo pronti a cogliere l’opportunità offerta da quest’Unione, o preferiamo star tranquilli nei nostri confini, fieri di esser discendenti dell’antico impero romano, della nostra buona cucina e della Ferrari? Non so voi, io preferirei dar un’occhiata fuori dai nostri patrii confini e vedere cosa offre il mondo… prima che il mondo si dimentichi di noi e ci lasci indietro.

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