Vorrei introdurvi, a mio rischio e pericolo, nel mondo inesplorato della “compossibilità”, una parola sconosciuta ai più, ma decisiva per definire delle politiche nuove in grado di tenere insieme diritti e spesa. Di che si tratta? Diritto alla salute e limiti economici, sono entrambi possibili, quindi “com-possibili” solo se tra di loro non esistono contraddizioni. Se tra la domanda di salute e l’offerta di servizi, vi sono contraddizioni, in questo caso c’è “in-com-possibilità” cioè una situazione nella quale le ragioni dei limiti economici escludono in qualche modo quelle del diritto alla salute.

Di contraddizioni in sanità ne abbiamo tante (di importanti ne ho contate almeno un centinaio e tutte costosissime, dolorose e inutili ). Alcuni esempi: la formazione del medico è contraddittoria con le nuove esigenze del sistema sanitario e della società; l’organizzazione dei servizi è spesso contraddittoria con la qualità delle cure, i contratti degli operatori o quelli convenzionali con alcune esigenze di cambiamento, l’attuale idea di azienda con tante questioni ma in particolare con le politiche per il personale, la corruzione con la riqualificazione della spesa, la lottizzazione degli incarichi con le buone pratiche ecc…

Le contraddizioni sono la causa più pesante dell’antieconomicità. Che cosa è l’antieconomicità? Quando un qualsiasi costo è in contraddizione in qualche modo con il suo risultato (vedi post precedente) sia esso epidemiologico, clinico o economico. Ma se in sanità per difendere il diritto bisognerebbe rimuovere le contraddizioni perché antiecomoniche allora perché limitarsi a tagliare ottusamente la spesa senza toccare le contraddizioni che minacciano il diritto? Voi credete che la spending review inciderà sul malaffare, sulla corruzione, sulle cattive spese, sulla lottizzazione, sulla formazione del medico, sulla concezione aziendale, sulle politiche del personale? Neanche per idea. Per rimuovere davvero le contraddizioni e difendere il diritto, bisogna organizzare una lotta senza quartiere a tutte le forme di antieconomicità del sistema. Che ripeto sono tantissime.

La parola invece nota a tutti e che in questi anni ha costituito la base delle politiche sanitarie, è compatibilità: se c’è una emergenza finanziaria e le risorse sono limitate il diritto alla salute deve adattarsi ai limiti economici, cioè essere compatibile con essi. La differenza tra politiche sanitarie per la compatibilità e politiche sanitarie per la compossibilità è che la prime limitano sempre qualcosa rispetto a qualcos’altro, le seconde invece si basano sulle possibilità che si hanno proprio grazie alla rimozione delle contraddizioni. Esempio: bisogna ridurre i costi degli ospedali? Per la compatibilità si tratta di chiudere i piccoli ospedali, ridurre i posti letto, bloccare il turn over e gli stipendi degli operatori ecc… cioè bisogna limitare l’ospedale con ogni mezzo; per la compossibilità le eccedenze, gli squilibri, le disorganizzazioni vanno certamente affrontati, ma soprattutto vanno rimosse le tante contraddizioni che rendono l’ospedale antieconomico (vedi post precedente). Cioè la compossibilità costruisce i diritti, la compatibilità li svuota. La compatibilità, superando certe soglie, diventa in-compatibile con i diritti perché questi proprio come il salame a forza di essere affettato finisce.

La mia proposta quindi è di cambiare le politiche fatte in questi ultimi trenta anni. C’è però un problema: per cambiare bisogna essere dei riformatori, cioè aperti al cambiamento. Oggi in sanità siamo pieni di finti riformatori e questa si che è una bella contraddizione. Il “riformista che non c’è” oggi è il grande nemico dei diritti… non la crisi, non l’emergenza, non il disavanzo pubblico… ma chi è incapace di cambiare.

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