Un vento che non c’è più. Walter Veltroni in occasione della presentazione del suo libro “L’Isola e le rose” parla di utopie e ‘68 e il parallelismo con i giovani d’oggi è di dovere. La domanda arriva dal giornalista che chiede perché se un tempo i giovani andavano in piazza per qualsiasi occasione, ora invece sembrano non avere la stessa attitudine. “In quegli anni, – dice Walter Veltroni, – vivevamo in una società piccola che stava diventando grande. Eravamo emozionati perché vivevamo tutti la stessa emozione contemporaneamente. Ma ora i giovani sono soli davanti al computer”.
Una generazione chiusa che fatica a mettersi in relazione con l’esterno, in una solitudine pericolosa: questa la società delineata sul palco della Festa dell’Unità di Bologna, dove alle parole di Veltroni fanno eco le considerazioni di Pierluigi Bersani: “Se stiamo all’esame di realtà, – dice il segretario del Pd, – abbiamo una emigrazione interna e esterna intellettuale, ma se andasse avanti così l’avremmo non solo intellettuale. Il lavoro è il perno di tutto. Quando ci sono difficoltà economiche, nell’isolamento è difficile trovare solidarietà e fiducia. La differenza è quella: due o tre generazioni fa se stavi in casa friggevi, qui tocca a tutti quanti cercare di mettere a frutto le possibilità enormi e positive che ti dà quell’universo. Lavoro e socializzazione sono i grandi obiettivi di questo paese”.
Gli anni settanta, anni di giovani e di manifestazioni, anni di muri d’abbattere e prese di posizione, anni di cambiamento, dicono gli oratori. Ma adesso? Il pensiero va all’Italia della crisi economica e delle generazioni perdute. “In questo paese sono cambiate tantissime cose – conclude Veltroni, – noi non siamo più quelli che eravamo prima. Oggi la condizione di disperazione dei ragazzi è paragonabile a quella dei dannati della terra. Sono deprivati di futuro che è la cosa più angosciosa. Per quelle generazioni lì il futuro era sì da conquistare, noi avevamo fame di futuro. Adesso i giovani hanno paura del futuro e non è colpa loro, è colpa di una società conservatrice, strutturata per evitare quel dinamismo di cui c’è bisogno. Se tu non fai una società dinamica, è inevitabile che a pagare siano i più fragili. I più deboli di tutti oggi sono i ragazzi e i cinquantenni che perdono il lavoro”.
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