Per molti rappresentanti diplomatici sarà stato un sospiro di sollievo. La discussione sul primo, difficile, trattato internazionale per regolare il commercio delle armi – un mercato da almeno 70 miliardi di dollari l’anno, nel quale l’Italia spicca come nono Paese per export – è stata bloccata per una questione tecnica, che nulla a che fare con il merito del summit in corso all’Onu, a New York, e che dovrebbe concludersi il 27 luglio con un testo condiviso. 

L’avvio dei negoziati, però, è stato rinviato a causa di una disputa scatenata dalla richiesta egiziana che anche la Palestina – che all’Onu ha uno status particolare, quello di “osservatore”, simile a quello del Vaticano e non è un membro a tutti gli effetti – fosse presente alle trattative. Questa richiesta ha provocato la reazione della delegazione israeliana, che ha minacciato di abbandonare il vertice, nonché messo in forte imbarazzo la delegazione dell’Unione europea che pure ha uno status peculiare.

La disputa ha spinto il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon ha rinviare il suo discorso di apertura, bloccando di fatto l’avvio di un vertice a cui da molti anni lavora una vastissima coalizione di organizzazioni non governative internazionali, nonché alcuni governi particolarmente sensibili al tema della regolazione del commercio delle armi.

Secondo l’Agence France Presse non è chiaro quando il vertice potrebbe riprendere. Un diplomatico occidentale, che per ovvie ragioni ha preferito non essere identificato, criticando la richiesta egiziana, ha detto che la sensazione è che «alcuni paesi che temono la possibilità di arrivare a un trattato vincolante, con forti clausole per la difesa dei diritti umani, stanno sfruttando la questione procedurale per bloccare un meccanismo che ha richiesto sette anni di lavoro per avviarsi».

I negoziati, comunque, secondo la Bbc, potrebbero riprendere oggi, anche se non è escluso che altre questioni “preliminari” possano essere sollevate. Non è un mistero infatti che alcuni paesi, soprattutto i principali esportatori di armi (Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia) guardano con molta diffidenza al trattato. Nella ragnatela di manovre diplomatiche accadono cose anche strane: gli Stati Uniti, per esempio, si trovano nello stesso “campo” della Cina, dell’Egitto e della Siria, paesi che chiedono che le munizioni siano escluse dal trattato stesso.

Fuori dal Palazzo di vetro, intanto, ci sono state azioni di protesta come quella organizzata da Oxfam, una delle Ong internazionali più impegnata nella lunga campagna per questo trattato.

La Coalizione internazionale per il controllo delle armi di cui fanno parte Oxfam, Amnesty International e decine di altre organizzazioni di oltre 120 paesi ieri ha di nuovo invitato i rappresentanti dei paesi riuniti all’Onu a non lasciarsi sfuggire una occasione storica. «E’ assurdo che esistano regole più stringenti per il commercio della frutta o del caffé e non ce ne siano di altrettanto vincolanti per cannoni o carri armati», ha detto Jeff Abramson, direttore del segretariato internazionale della Coalizione. «I negoziati sul Trattato per il commercio delle armi sono per i leader politici un test per affrontare la realtà e concordare regole che pongano fine a traffici irresponsabili che alimentano gravi violazioni dei diritti umani», ha detto Brian Wood di Amnesty International, mentre Anna Macdonald, di Oxfam ha spiegato che «questo trattato può essere lo strumento per porre limiti a un commercio del tutto fuori controllo».

La Coalizione internazionale chiede che il Trattato sul commercio delle armi vincoli i governi a regolamentare in modo severo la vendita e il trasferimento di tutte le armi,  delle munizioni e delle attrezzature usate per operazioni militari e sicurezza interna: dai veicoli corazzati ai missili, dai velivoli alle piccole armi, dalle granate alle munizioni.

Ai governi deve essere richiesto di valutare con molta attenzione il rischio prima di autorizzare un trasferimento internazionale di armi o una transazione. I governi, inoltre, dovrebbero rendere pubbliche tutte le autorizzazioni concesse e i trasferimenti di armi compiuti.

In una nota diffusa ieri, la Coalizione ha attaccato i governi dei principali paesi esportatori scrivendo che «la maggior parte dei governi vuole un trattato forte entro il 27 luglio, ma alcuni stati hanno provato a indebolire le regole. Stati Uniti, Cina, Siria ed Egitto si sono di recente detti contrari a regolare anche il commercio delle munizioni. La Cina vuole escludere dal trattato le piccole armi e i “regali”, mentre diversi governi del Medio Oriente sono contrari ai criteri adottati dal trattato in tema di diritti umani».

Fin dall’inizio dei negoziati per questo trattato, è stato chiaro che la strada sarebbe stata tutta in salita. Pochi si aspettavano però un intoppo “procedurale” già in quello che avrebbe dovuto essere il primo giorno di negoziati. Bisognerà aspettare qualche ora per capire se oggi finalmente si potrà iniziare a discutere.

di Joseph Zarlingo

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