Prima invocano trasparenza e competenza poi, in linea con gli anni passati, scelgono nel solco della cooptazione. Accade oggi, ancora una volta: i due rami del Parlamento hanno scelto i nomi che andranno a occupare i consigli di Agcom e Garante della Privacy. In netto contrasto con il profilo delle authority che, come si legge nel regolamento sul sito dei dati personali, “oltre ad essere istituite per lo svolgimento di funzioni di garanzia e di vigilanza sull’attuazione di valori costituzionali, sono caratterizzate in misura più o meno ampia dai connotati di indipendenza e di autonomia che le svincolano da qualsiasi riferimento al circuito dell’indirizzo politico”. Parole che rimangono sulla carta, perché la politica relega sullo sfondo competenze e trasparenza. Infatti i partiti avevano già individuato i nomi nei giorni scorsi, e oggi deputati e senatori hanno soltanto “ratificato” quanto già deciso fuori dall’aula.

Così la Camera ha nominato Giovanna Bianchi Clerici e Antonello Soro (che ha annunciato le dimissioni da deputato) membri dell’Autorità garante della Privacy. La Clerici, consigliere d’amministrazione Rai uscente e candidata dalla Lega e Pdl, ha ottenuto 179 voti, mentre l’ex capogruppo del Pd alla Camera 167. Chiusa anche la partita Agcom, dove Montecitorio ha scelto Maurizio Decina e Antonio Martusciello, ex manager Fininvest, rispettivamente candidati di Pd e Pdl. Decina ha ottenuto 163 voti e Martusciello 148. Nessuna sorpresa neanche al Senato che elegge Augusta Iannini, ex collaboratore del ministero della Giustizia con Alfano e moglie di Bruno Vespa, e Licia Califano quali membri dell’Autorità per la privacy. Iannini ha avuto 107 voti, e Califano 97. L’ex collaboratore di Tajani Antonio Preto e Francesco Posteraro, sul quale era stato trovato l’accordo tra Pd e Udc, sono invece i nuovi membri dell’Autorità per le comunicazioni. Preto ha ottenuto 94 voti e Posteraro 91.

Nomine anticipate da giorni di polemiche e accuse di poca trasparenza. Indignati per la procedura di selezione opaca Antonio Di Pietro e Nichi Vendola secondo cui”questa è la fine di un romanzo che racconta una storia politica ormai al termine” e soprattutto “quel che è accaduto apre scenari problematici per una eventuale coalizione”. Poi il governatore della Puglia accusa il Pd di “complicità con i vecchi sistemi di potere nelle scelte fatte sul lavoro e in particolare sui commissari Agcom”. Per Vendola “è una pagina nera che può pesare moltissimo sulla scena politica italiana” e specifica che quanto è successo “non è stato un incidente di percorso per il Pd, ma una rottura rispetto a tutti i codici democratici. Non è accettabile l’anomalia italiana nel mondo che ipoteca il pluralismo del sistema informativo”. Critico anche Arturo Parisi che già nei giorni scorsi aveva criticato le logiche di spartizione nei consigli delle due authority. Non ha partecipato al voto e ha parlato di “spartizione irresponsabile”. Secondo il deputato Pd sfuma “ogni promessa di cambiamento” perché ancora una volta si è deciso di “scegliere i membri delle Autorità di garanzia e in particolare dell’Agcom secondo il principio e con il metodo della spartizione tra le parti”.

I parlamentari Radicali, anticipando la loro astensione al voto di oggi che ritenevano “la certificazione dei accordi presi fuori dalle Camere dalle oligarchie dei partiti”, avevano detto in mattinata: “Avevamo preso atto della positiva decisione dei Presidenti delle Camere Fini e Schifani di rinviare la votazione già prevista per aprire alla presentazione dei curricula, i tempi stretti non hanno consentito un reale studio dei documenti né tantomeno la possibilità di potersi confrontare coi candidati”. Inoltre “anche per il fatto che nessuna audizione di una selezione dei candidati è stata effettuata, per il fatto che sono stati messi a disposizione con estremo ritardo i curricula, per il fatto che in queste condizioni candidature altre di alto profilo, pure emerse, non hanno possibilità di ottenere un numero significativo di voti, per il fatto che dobbiamo ribadire la necessità di una svolta nel metodo, annunciamo la nostra non partecipazione al voto, come unica risposta adeguata ad un procedimento di selezione antimeritocratico e oligarchico”.

“Chiudiamo l’Agcom”, scrive Beppe Grillo sul blog, che ironizza sulle procedure di nomina interne all’authority. “E’ nata per (non rotolatevi dalle risate) assicurare la corretta competizione degli operatori sul mercato e tutelare il pluralismo e le libertà fondamentali dei cittadini nel settore delle comunicazioni e radiotelevisivo”. Poi aggiunge: “Chi elegge il consiglio di cinque membri dell’AGCOM? I partiti, nella fattispecie i segretari di partito che dettano la linea ai parlamentari”. Hanno protestato anche le associazioni di Agorà Digitale, Avaaz e VogliamoTrasparenza.it, che si sono battute per le candidature competenti e trasparenti, che nel corso di una conferenza stampa alla Camera hanno strappato decine di fogli in un “flash mob” a cui hanno preso parte anche i parlamentari Antonio Di Pietro, Felice Belisario, Marco Beltrandi (Radicali), Giuseppe Giulietti (Misto) ed altri. Tra le carte i curricula depositati in questi giorni in Parlamento ma che sono stati comunicati ai parlamentari a decisione avvenuta, rendendoli di fatto carta straccia. Ora le associazioni, assieme ai parlamentari che oggi si sono astenuti sono determinate a fare appello al Presidente della Repubblica affinchè non firmi il decreto di nomina che condannerebbe l’Italia a 7 anni molto difficili per l’Informazione e la libertà in Rete.

 Nei giorni scorsi i nomi dei candidati all’Agcom era già rimbalzato su Twitter. Per cui Pdl e Pd avrebbero già deciso i nomi dei consiglieri. Angelo Cardani è stato indicato come prossimo presidente del garante per le comunicazioni e sarà scelto dal Presidente del Consiglio. Il 16 maggio era scaduto il mandato di Corrado Calabrò che aveva dato il via al toto-nomine.

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