Bashar Assad rompe il silenzio. Il presidente siriano ha concesso un’intervista all’emittente all news russia Russia Today 24 in cui è tornato ad attaccare i gruppi dell’opposizione. L’accusa di Assad è che chi si oppone al suo regime cerca di “gettare la Siria nel caos”, un’operazione che però per il presidente è destinata a fallire: la partecipazione dei cittadini alle contestatissime elezioni dello scorso 7 maggio avrebbe dimostrato che una gran parte dei siriani è ancora a favore del regime anche se chiede dei cambiamenti. Cambiamenti che finora sono stati ben al di sotto di quanto chiesto sia dai gruppi dell’opposizione e in particolare dal Comitato nazionale siriano, sia dalla comunità internazionale (con l’eccezione di Mosca e Pechino).

Il fronte più debole per il regime nell’attuale crisi è quello dell’informazione: “Non possiamo vincere questa guerra delle notizie – ha detto il presidente, calmo e compassato come sempre – l’Occidente ha diffuso una enorme quantità di notizie false, pettegolezzi, bugie che però sono come bolle di sapone: non vivranno a lungo. Ciò che conta – ha detto ancora Assad – è vincere nella vita di ogni giorno”.

Le elezioni di pochi giorni fa sono state, secondo Assad, “un passo molto importante che ha dimostrato che i siriani non si lasciano spaventare dai terroristi che vogliono seminare il caos”.

Più che sul consenso interno, molto difficile da misurare (anche i dati ufficiali parlano di un’affluenza elettorale al 51 per cento e non ci sono indicazioni su quale forza politica abbia vinto), Assad può contare su altri appoggi. A partire da quello dell’Iran. La Repubblica islamica (o quantomeno alcuni suoi apparati) avrebbe fornito appoggio alla repressione e continuerebbe a rifornire il regime di armi. Questi dati sono contenuti in un rapporto, in teoria riservato ma “arrivato” all’agenzia Reuters e al Washington Post, compilato dal team di osservatori Onu che si occupa di monitorare l’embargo internazionale alla vendita di armi all’Iran.

Il documento dice che almeno tre grossi carichi di armi iraniane sono stati esaminati, e due di questi erano diretti in Siria, mentre il terzo sarebbe stato diretto in Afghanistan. I due carichi destinati alla Siria sono stati però intercettati dalle autorità turche – la Turchia ha aderito all’embargo internazionale sulle forniture belliche a Damasco – e si è visto che comprendevano sia armi leggere che munizioni, tra cui proiettili di mortaio e per l’artiglieria, quella usata dal regime per cannoneggiare per oltre un mese il quartiere di Bab Amro, nella città di Homs.

Il team di osservatori Onu ha raccomandato nel rapporto, destinato al Consiglio di sicurezza, che sia stilata una lista nera di “entità e persone” coinvolte nel traffico di armi tra Teheran e Damasco.

Le armi iraniane, però, non sono le uniche che alimentano il conflitto in Siria. Oltre ai due carichi di armi e munizioni sequestrati dalle autorità libanesi e dirette con ogni probabilità ai gruppi armati dell’opposizione, lo stesso Washington Post riferisce di un programma, coordinato dagli Usa, per rifornire i ribelli siriani.

Il Post cita una fonte di alto livello dell’amministrazione Usa, secondo cui Washington, assieme ai paesi del Golfo (che ci mettono i soldi) sta “aumentando l’assistenza all’opposizione siriana”, attraverso la fornitura di “equipaggiamenti non letali”. In particolare, si tratterebbe di migliorare la capacità di comunicazione, comando e controllo dei gruppi armati che si trovano a fronteggiare un esercito ben organizzato, discretamente addestrato e abbastanza ben equipaggiato, almeno per alcune unità di punta, quelle che finora hanno fatto la maggior parte del “lavoro sul campo” nell’assalto alle città e negli attacchi alle postazioni dei combattenti del Free Syria Army.

In questa escalation, sembra sempre meno incisivo il ruolo degli osservatori Onu – arrivati in poco più di duecento, con uno staff tecnico di una settantina di persone – che hanno il compito di monitorare il cessate il fuoco entrato in vigore il 12 aprile e applicato ben poco. L’ultimo “incidente” ha coinvolto sei osservatori, rimasti bloccati nel nord del paese, nella zona di Khan Sheikhoun: per una notte sono stati assieme ai ribelli del Fsa, che negli scontri in quella zona hanno perso una ventina di uomini. Il portavoce della missione Unsmis (United Nations supervision mission in Syria), Ahmad Fawzi ha detto che i sei sono stati recuperati da personale Onu e riportati ad Hama. Nessuno degli osservatori è rimasto ferito ma ancora una volta la loro presenza sul posto non ha impedito gli scontri a fuoco tra ribelli ed esercito regolare.

di Joseph Zarlingo

Articolo Precedente

Francia, i ministri di Hollande. Esclusa Aubry, segretaria dei socialisti

next
Articolo Successivo

Dalla parte di Syriza e di Alexis Tsipras

next