Un pullman azzurro ridotto ad un ammasso di lamiere dentro l’acquitrino di una canaletta di scolo. Cinque corpi coperti da un lenzuolo bianco a terra, in un vialetto in fianco alla tangenziale. Dieci ambulanze che fanno da spola in tutti gli ospedali del Veneto, tre elicotteri dei soccorsi sanitari che atterrano e decollano dai campi vicini. Infermieri e medici che trasportano i feriti. Le urla di dolore e disperazione. Un’ora dopo lo schianto avvenuto alle 8 di sabato il tratto di tangenziale che collega la A13 alla A4, nel comune padovano di Ponte San Nicolò si è trasformato in una trappola di morte e dolore.

Le 23 persone, ex militari e i loro familiari, che si trovavano nel pullman stavano andando a Jesolo per il raduno nazionale dell’Associazione Nazionale Carabinieri, dov’erano attese oltre 50mila persone. I viaggiatori a bordo del mezzo sono tutti originari di Aprilia, Latina, ed erano partiti all’una di notte per raggiungere il comune veneziano. Oltre alle vittime ci sono 18 feriti: nove sono gravi, sei riportano ferite in molte parti del corpo, tre già dimessi. Non c’erano bambini a bordo. Le vittime sono Roberto Arioli, di Aprilia, 57 anni, presidente della locale associazione carabinieri in congedo e i compaesani Maria Aronica, 57 anni, Settimio Iaconianni, 75 anni, Gianfranco Gruosso, 42 anni, Maria Domenica Colella, 64 anni di Pico, in provincia di Frosinone. L’autista, Lorenzo Ottaviani di 38 anni, non è ferito gravemente ma è sotto choc in ospedale. “Dovevo morire io, vorrei essere morto, non so cosa sia successo”. E invece tanti vorrebbero sapere che cos’è accaduto in quella frazione di secondo tra le 8 e le 8.05, l’attimo in cui c’è stato l’incidente.

L’autista ha fatto tutto da solo. Il pullman è uscito di strada poco prima di un cavalcavia, in un tratto non protetto da guardrail. Nel rettilineo il mezzo ha girato a destra, finendo prima in un fossato e schiantandosi poi sul terrapieno del ponte che passa sopra alla tangenziale, affondando in un laghetto di pochi metri, ma abbastanza profonda da lasciare senza via di scampo almeno tre delle vittime sedute sul lato destro dell’autobus. La polizia stradale di Padova che è intervenuta sul posto non ha trovato segni di frenata sull’asfalto. Non ci sarebbe stato alcun ostacolo da evitare, nessun’altra auto coinvolta, nessun sorpasso azzardato. Eslusa anche l’ipotesi dello scoppio di una gomma. La teoria più accreditata è quella di un colpo di sonno. “Mio fratello dice di aver sentito il pullman ‘tirare’ a destra, come se ci fosse stato un guasto, e di averne perso il controllo” dice Fabio, fratello dell’autista, titolare della ditta Ottaviani di Ardea (Roma) giunto a Padova a metà giornata. Ma sarà il magistrato padovano Emma Ferrero a stabilire l’esatta causa dell’incidente: la procura ha infatti aperto un’inchiesta, al momento non ci sono indagati, ma è da supporre che presto nel fascicolo verrà iscritto il nome dell’autista, un atto dovuto e che lo tutela, visto dovrà nominare un avvocato che lo rappresenti. L’uomo intanto è stato sottoposto alla profilassi per escludere la guida sotto l’effetto di alcol o droghe.

Alcuni feriti sono a Treviso, Abano Terme, Piove di sacco e Monselice. Ma la maggior parte si trova a Padova. Nell’area verde del prono soccorso c’è chi parla, chi racconta. Ci sono due uomini, in particolare, che nonostante le ferite hanno dato i primi aiuti in attesa dei soccorsi. Sono Giovanni Russini e Domenico Laviano, fanno parte del gruppo di protezione civile di Aprilia erano anche loro nel pullman. Sono stati loro a estrarre le prime vittime dalle macerie. Laviano ha aiutato tutti con il cuore in gola: sua moglie era con lui, ma non gli stava seduta vicino. Era nella parte del pullman che si è incastrata nell’acqua. Si chiamava Maria Aronica, una delle vittime. “Aiutavo a tirare fuori gli altri e intanto gridavo ‘Maria dove sei!’ pensavo fosse uscita – dice Domenico nella sua brandina del pronto soccorso – intanto sentivo altre urla, ho visto l’inferno, i pianti, i miei amici immobili, gente di cui vedevo solo le braccia o le scarpe, ho aiutato chi potevo, nel frattempo sono arrivati i soccorsi e ho visto un medico che estraeva mia moglie da una lamiera che i pompieri avevano appena tagliato, gli ho chiesto ‘È viva vero? Dottore mi dica che è viva”. Ma l’hanno appoggiata a terra e l’hanno coperta. Io sono qui che parlo ma ancora non mi rendo conto, spero di vederla arrivare da un momento all’altro.” A pochi metri da Domenico c’è Giovanni, ancora sconvolto, sedato. E’ lui che ha chiamato le ambulanze per primo, ma almeno non deve contare familiari morti. Ora le salme sono in ospedale a Padova, per il riconoscimento da parte dei familiari. E’ atteso l’arrivo anche della moglie dell’organizzatore dell’evento, Roberto Arioli. Ci doveva essere anche lei in quell’autobus, ma il giorno prima si è sentita poco bene, e all’ultimo momento ha rinunciato a quel viaggio.

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