Era l’inizio dell’aprile del 2011 quando il presidente dell’Emilia Romagna Vasco Errani parlò di un imminente aggiornamento dei costi per le attività estrattive. A quella promessa ne seguirono molte altre, tutte rimaste sulla carta. Oggi le tariffe per le ditte che estraggono sabbia e ghiaia sono le stesse del 1992, non un centesimo di più, non un centesimo di meno. E i cavatori continuano a lavorare allo stesse condizioni di 20 anni fa. Un immobilismo che, secondo il Movimento 5 stelle, costa molto caro ai bilanci pubblici: rivedere i canoni di cava porterebbe alle casse di viale Aldo Moro 20 milioni di euro in più ogni anno. In altre parole, dal 2000 a oggi la Regione avrebbe potuto guadagnare più di 200 milioni di euro. “E allora perché continuare a rimandare il più possibile, quando ci sono comuni schiacciati dai tagli?” chiede il consigliere Giovanni Favia.

In Emilia Romagna i canoni di concessione versati dalle aziende specializzate nell’estrazione di ghiaia alla Regione oscillano tra i 46 centesimi e i 57 centesimi al metrocubo, come stabilito dalla delibera regionale 70 del 1992. Il costo dipende anche dal tipo di materiale estratto. Tra i più economici c’è l’argilla, mentre il gesso è uno dei più cari. Questo significa che la Regione, ogni anno ottiene in media circa 6 milioni e mezzo di euro. Briciole se si considera che, con un adeguamento, la cifra potrebbe triplicare, portando una boccata d’ossigeno alle casse dell’ente. Con una proposta di legge ispirata alla regolamentazione adottata in Inghilterra, dove viene fatto pagare anche il costo ambientale e sociale degli scavi, il Movimento 5 stelle propone di alzare le tariffe, portandole a un massimo di 2,28 euro a metro cubo. “Applicando un prezzo minimo di 1,8 euro a metrocubo e massimo di 2,2 euro, viale Aldo Moro potrebbe incassare 20 milioni di euro in più alla anno”.

Non è la prima volta che il Movimento 5 stelle accende i riflettori sugli oneri di cava. In passato ha più volte sollecitato la giunta di Errani a mettere in pratica gli impegni presi ormai più di un anno e mezzo fa. La prima promessa, firmata dall’assessore alla Difesa del suolo, Paola Gazzolo, risale all’autunno 2010 e si traduce, in primavera, nell’approvazione di una risoluzione che impegna la giunta all’aggiornamento delle tariffe. A dicembre il sottosegretario alla presidenza del consiglio regionale Alfredo Bertelli rassicura l’assemblea: “Entro gennaio pronta la delibera per rivedere i canoni e la disciplina delle attività estrattive”.

Annunci su annunci rimasti però senza riscontri. Le tabelle dei costi a carico delle aziende escavatrici non sono mai state ritoccate. “Da mesi ci dicono di essere pronti ma intanto siamo arrivati ad aprile e non abbiamo ancora visto niente – punta il dito Andrea Defranceschi, capogruppo del Movimento in Regione – Forse c’è il timore di andare a danneggiare gli interessi di alcune aziende, che anni fa hanno finanziato l’ascesa politica di alcuni esponenti del Pd in Regione”. Il riferimento è alla ditta Frantoio Fondovalle di Modena, specializzata, tra le altre cose, nell’estrazione e nella lavorazione di ghiaia e nella produzione di asfalto e calcestruzzo. Nel 2000, secondo Defranceschi, l’azienda modenese contribuì alla campagna elettorale dell’attuale assessore alle attività produttive Gian Carlo Muzzarelli. “Dopo aver fatto il piano delle attività estrattive, quando lavorava alla Provincia di Modena, si è visto finanziare la campagna elettorale per entrare in Regione”.

Intanto, mentre la giunta emiliano romagnola continua a indugiare, a dicembre 2011 la Lombardia, una delle prime regioni per quantità di materiale cavato, ha aggiornato le tariffe: oggi per estrarre ghiaia si sborsa circa il 50% in più rispetto all’Emilia Romagna. “Non possiamo più permetterci di aspettare ancora – conclude Defranceschi – non c’è alcuna giustificazione se non quella di proteggere gli interessi dei cavatori, che sono esorbitanti”.

Secondo una ricerca di Legambiente del 2011, in Italia l’estrazione della ghiaia è un business a nove zeri. Se ogni anno alle regioni arrivano in tutto circa 36 milioni di euro dagli oneri di cava, le ditte guadagnano dalla vendita del materiale estratto (che serve per produrre cemento e calcestruzzo, ingredienti base per costruire case e strade) quasi trenta volte tanto, ossia 1 miliardo e 115 milioni di euro. In questo contesto, l’Emilia Romagna, con le sue 296 cave attive, è la prima regione per quantità di argilla estratta: più di 1,2 milioni di metri cubi, su un totale di 8,4 milioni.

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