Non sono riuscito a leggere, nè tantomeno a rispondere puntualmente, alle centinaia di commenti al mio precedente intervento: spero di farlo ora con qualche esempio emblematico a sostegno di quanto ho scritto che confermo in toto, a cominciare dal primo paragrafo.

Premetto che ho iniziato la mia collaborazione con ilfattoquotidiano.it parlando proprio di strategie più pragmatiche nella lotta al malaffare che potevano rappresentare persino una risorsa per il risanamento della finanza pubblica e che non sono certo il difensore d’ufficio di certe storture e abusi nel mondo dell’impresa e della finanza, senza per questo voler rinnegare l’economia di mercato. Per il semplice fatto che non ne conosciamo altre realisticamente percorribili.

Il rimedio teorico ai problemi che viviamo consiste, a mio avviso, nel riaffermare il primato della politica sull’economia e dell’etica sulla politica nel senso che non possiamo più ritenere di per sè legittima e legittimante qualunque modalità di raccogliere il consenso ovvero di conseguire profitti. A controbilanciare gli abusi deve esserci innanzitutto l’informazione indipendente e la tecnologia digitale consente, in modo interattivo e a basso costo, di difendere meglio che in passato questo presidio di libertà e democrazia anche, spero, con il mio modesto contributo di blogger.

Dal piano teorico il passaggio a quello pratico è questione di incentivi e di disincentivi: qui è la difficoltà e la scommessa! Ho scritto che gli incentivi reali (spesso inconfessabili) che muovono la classe politica italiana devono essere oggettivamente incompatibili con l’interesse collettivo se il risultato è questo. Non dimentichiamo che sono stati i mercati, qualche mese fa, a far comprendere a tutti, a cominciare dai rappresentanti della nostra democrazia parlamentare, che era necessario rimuovere una leadership indegna. E quella stessa classe politica sta ora facendo fare a dei tecnici il “lavoro sporco” delle riforme necessarie e impopolari nella prospettiva di ritornare presto in prima fila e con le mani pulite.

Ai miei critici, quelli che si sono stracciati le vesti sentendo dire che i diritti devono essere economicamente sostenibili, vorrei quindi porre un caso emblematico tratto dalla cronaca di questi giorni che ho sotto gli occhi. Il Comune di Palermo è arrivato a impiegare oltre l’85% delle sue risorse in stipendi a favore di 20.000 dipendenti diretti, indiretti -attraverso le sue partecipate- e stabilizzazioni varie di precari. Il servizio che tutta questa gente offre ai cittadini non è certo da 5 stelle lusso come da un tal numero ci si potrebbe aspettare, anzi!

Essere impiegati in mansioni palesemente inutili è ciò che viene comunemente scambiato per lavoro e occupazione: in realtà stiamo parlando di uno stipendificio funzionale solo alle periodiche campagne elettorali. I soldi però sono finiti e da tempo vengono tagliate o fornite in modo saltuario proprio quelle prestazioni essenziali che ci si attende da un Comune: cura del decoro pubblico e dell’ambiente, attenzione ai minori e agli anziani, illuminazione e manutenzione delle strade, tutela e fruizione pubblica dei monumenti, parchi, giardini; mobilità e trasporto pubblico, ecc.

La coperta quella è e non si capisce perchè il diritto al lavoro di alcune migliaia di precari debba avere una maggiore considerazione e tutela rispetto a quello di tanta gente che nel settore privato o autonomo lo perde a motivo della crisi oppure rispetto ai diritti di centinaia di migliaia di cittadini che si attendono servizi efficienti. Solo perchè questa minoranza è sempre a disposizione in ogni tornata elettorale e con la minaccia dei motivi di ordine pubblico ottiene sempre ciò che vuole?

Se vogliamo fare discorsi seri e intellettualmente onesti, bisogna decidersi a tagliare almeno 5.000 dipendenti comunali, a cominciare da chi non è stato selezionato per pubblico concorso, riconoscendo al massimo sussidi di disoccupazione. Questo non certo per antipatia verso queste persone, ma per creare le condizioni perchè, attraverso un uso efficiente ed oculato delle risorse pubbliche, vengano incentivati quegli investimenti privati e pubblici che creino opportunità di lavoro vero e utile alla collettività.

I principali candidati a sindaco, però, si dividono tra chi non ne parla per calcolo di opportunità elettorale e chi ancora abbraccia l’ideologia dei “diritti intoccabili”. Ma, ripeto, in una situazione del genere i diritti dei dipendenti pubblici possono ancora essere considerati intoccabili? Cosa rispondono allora i miei critici? E soprattutto, per difendere questi diritti, sarebbero disposti a (cominciare a) pagare di tasca propria?