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Legambiente: “Chernobyl continua a fare vittime”

Secondo uno studio dell'associazione, sono 2400 i paesi di Ucraina, Russia e Biellorussia ancora contaminati. Ciò nonostante il presidente biellorusso Lukashenko ha annunciato la costruzione del primo impianto atomico del Paese
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Contaminazioni radioattive, aree desolate e malattie. Ma non siamo in Giappone, siamo in Ucraina, a Chernobyl, dove 26 anni fa si è consumato il peggiore disastro atomico della storia (Fukushima è il secondo). Quel territorio sta ancora facendo i conti con la pesantissima eredità nucleare: secondo Legambiente, “sono ancora 2.400 i paesi e villaggi contaminati”.

L’associazione del cigno sottolinea come gli effetti delle radiazioni continuino a colpire il sistema immunitario di milioni di persone, costrette a nutrirsi di cibi contaminati e a rischio di patologie tumorali.

Le analisi sono durate dal 2007 al 2011, periodo in cui l’ambulatorio mobile di Legambiente ha esaminato ben 28.462 persone fra Ucraina, Russia e Bielorussia. I risultati parlano chiaro: nell’area più contaminata, che ospita 1.140.000 abitanti, di cui circa 220mila bambini, si riscontrano molti casi di iperplasia, (aumento del numero di cellule che porta alla crescita del volume di un organo o di un tessuto), calcinosi (aumento patologico di calcio nei tessuti) e varie forme tumorali. Ma potrebbe essere anche peggio: “Quasi 7 milioni di persone che vivono in zone contaminate dei tre Paesi in questione si nutrono con cibo fortemente radioattivo”, spiega Angelo Gentili, coordinatore nazionale di Legambiente Solidarietà.

Una situazione preoccupante, che però non si limita agli effetti delle radiazioni. Molto precarie, ormai, sono anche le condizioni del sarcofago che avvolge ciò che rimane della centrale: 300mila tonnellate di calcestruzzo che contengono ancora 200 tonnellate di materiale radioattivo. “Questo sarcofago è molto danneggiato e il rischio di un collasso della struttura è elevato”, avverte Gentili: “Inoltre già oggi le grandi fessure consentono la fuoriuscita di polveri radioattive”.

I lavori per mettere in maggiore sicurezza i resti della centrale atomica sono già in corso, ma nonostante l’Ucraina ne abbia annunciato la fine entro il 2015, è possibile una interruzione del progetto per mancanza di fondi. Molti Paesi donatori, tra cui il Giappone, hanno infatti progressivamente ridotto il loro aiuto alle zone colpite dalla catastrofe del 1986, confermando il fatto che, come da tempo denunciano gli attivisti, “il sostegno della comunità internazionale nei confronti delle vittime di Chernobyl è molto diminuito”.

In questo contesto appare stonato l’entusiasmo delle istituzioni bielorusse nell’annunciare la costruzione, proprio nelle zone più colpite dal dramma radioattivo di Chernobyl, della prima centrale atomica del Paese. L’impianto sorgerà nella provincia di Ostrovets, al confine con la Lituania, e verrà costruito anche grazie alla collaborazione del governo con la Vnesheconombank di Mosca, la Banca per lo sviluppo e gli affari economici esteri, meglio nota come “Banca per lo sviluppo russo”.

Per il presidente bielorusso Lukashenko, questa nuova centrale sarà di vitale importanza per l’economia nazionale, e dovrà essere “costruita in fretta e senza ritardi”. Di tutt’altra opinione le associazioni ambientaliste che chiedono di destinare questi fondi, oltre che alla messa in sicurezza del “colabrodo” di Chernobyl, all’implementazione di iniziative che aiutino le persone residenti in queste zone a curarsi e a nutrirsi di cibi non contaminati.

È quanto permette il Progetto Rugiada, avviato dalla stessa Legambiente nel 1994 per aiutare in particolare i più piccoli: “Un sostegno concreto che permette a tantissimi bambini di essere monitorati dal punto di vista medico e curati in un centro specializzato in Bielorussia”, ricorda l’associazione, dove “per tutto il periodo dell’accoglienza viene fornito loro cibo sano e non contaminato dalle radiazioni”. Della stessa opinione l’associazione ambientalista italiana: “Il pericolo nucleare è ancora forte e dobbiamo continuare nella nostra lotta e nella nostra campagna di informazione su questa forma di energia costosa e pericolosa”.

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