“Non mi candiderò più alla guida del Governo”. Silvio Berlusconi lo ripete in una lunga intervista pubblicata sul Corriere del Ticino e firmata dall’ex caporedattore de Il Giornale, Marcello Foa. L’ex premier ribadisce il sostegno all’esecutivo guidato da Mario Monti e si dice ancora fiducioso che il rapporto con la Lega Nord possa recuperarsi in un prossimo futuro. Infine, di tutte le vicende giudiziarie in cui è rimasto coinvolto, a due giorni dalla sentenza sul caso Mills, finito in prescrizione grazie alla legge ex Cirielli, lui dice: “Non ho davvero nulla di cui pentirmi, dovrebbero invece vergognarsi i miei persecutori”. Ma ancora in Italia, dice, “sembrano prevalere l’invidia e l’odio. Ma vincerà l’amore, ne sono sicuro”.

Più che un’intervista, dunque, una sorta di riassunto del recente Berlusconi pensiero. Una sintesi delle dichiarazioni rilasciate negli ultimi mesi, l’ennesima perché il suo abbandono alla politica lo ha già annunciato più volte. Ma poi aggiunge che in realtà rimarrà “come padre nobile”. Incorona Angelino Alfano come suo erede ma, annuncia, “darò consigli”. Quindi “non mi candiderò più alla guida del Governo”, dice il Cavaliere, ma “continuerò a fare politica, come presidente del primo partito italiano in Parlamento agirò da ‘padre fondatore’, darò consigli alle nuove leve, cercherò di trasmettere quei valori di libertà e di democrazia per i quali sono sceso in campo e che sono tuttora il nostro credo politico, contro quella cultura dell’invidia, dell’odio e del giustizialismo che finora ha dominato gran parte della sinistra in Italia”. Quindi Alfano, l’erede. “E’ stato eletto all’unanimità dal nostro Consiglio. Ha 35 anni meno di me, è autorevole e realizza il cambio di generazione di cui tutta la politica italiana ha bisogno. Sarebbe ora che anche gli altri politici che siedono in Parlamento da trent’anni, se davvero credono in ciò che dicono sui giovani e sulla necessità di innovare, facessero un passo indietro. Se qualcuno nel Pdl non crede in questo cambiamento, dovrà ricredersi”. Un passaggio del testimone a metà, dunque. Perché il partito è saldamente in mano al Cavaliere. Tanto che, per quanto dica che è in procinto di andarsene, detta la linea. Se fosse compreso indicherebbe le tappe da qui all’eternità, ma si limita al 2013, al governo tecnico.

Fin dall’inizio abbiamo sostenuto Monti con il nostro voto, lo stiamo facendo e lo continueremo a fare con lealtà e senso di responsabilità, per l’interesse superiore dell’Italia”. E Berlusconi si chiama in causa come attore dell’esecutivo. “Dobbiamo risolvere oltre all’emergenza economica, un’altra emergenza, quella istituzionale, per fare dell’Italia una democrazia moderna e garantire una piena ed effettiva governabilità. Il Governo dei tecnici è sostenuto quasi dall’intero Parlamento, e solo questo largo appoggio può consentirci di fare quelle riforme che una sola parte politica non può fare con i suoi soli voti”. Quali riforme? “Mi riferisco alla riforma dell’architettura istituzionale dello Stato, che riguarda il Parlamento, il numero dei deputati, il Senato delle Regioni, la Corte costituzionale, i poteri del premier e del Consiglio dei ministri, fino all’introduzione di una nuova legge elettorale e alla riforma della giustizia”.

Provvedimenti che la sua maggioranza si è dimenticata di affrontare? E perché, nonostante l’ampio sostegno con cui sedeva in Parlamento, il suo Governo non è riuscito a realizzare queste riforme e si è interessato ad approvare altre leggi, secondo molti, per lo più ad personam? Nell’intervista queste domande non sono state formulate. L’argomento si sfiora appena. Così: “I liberali autentici le rimproverano di non aver realizzato le riforme liberali per le quali si era impegnato nel 1994. Cosa è mancato?”. Risposta: “Ho un unico torto: non sono riuscito a convincere il 51% degli elettori a darmi il loro voto. E per fare le riforme costituzionali serve almeno il 51 per cento”. Un’affermazione che in pratica smentisce anni di slogan e propaganda in cui il Cavaliere, unto dal Signore, si difendeva sostenendo di essere stato votato dalla maggioranza degli italiani. E comunque, conclude, è colpa dei comunisti, dei magistrati, dell’odio.

Sono orgoglioso di aver salvato l’Italia nel ’94 da un governo che sarebbe finito nelle mani del Partito comunista italiano, cioè di un partito e di una ideologia sconfitta dalla storia. Ho la coscienza di avere servito il mio Paese con tutte le forze e con totale onestà intellettuale. Mi amareggia l’essere ripagato con un accanimento che non ha eguali nella storia da parte della sinistra giudiziaria. Vogliono distruggere la mia immagine di uomo, di imprenditore e di politico. È l’ennesima prova che la decisione di impegnarmi nella vita pubblica, per salvare l’Italia dal comunismo e per cambiarla, non mi è stata perdonata da quei poteri che si sono visti insidiati nei loro interessi e nelle loro ambizioni. Ma non per questo lascerò l’impegno politico. Anzi, continuerò con la forza e con l’impegno di sempre”. Ma certo, non si candiderà più a capo del Governo.

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