Secondo il piano approvato lunedì, il vero contributo alla riduzione del debito greco dovrebbe venire dai creditori privati: ma le banche aderiranno alla “insolvenza mascherata”? La Troika si installa permanentemente ad Atene: servirà a raggiungere gli obiettivi prefissati? Sono pesanti interrogativi, che gettano un’ombra su un accordo presentato come un successo dell’Europa.
di Angelo Baglioni* 22.02.2012, lavoce.info

Nella notte di lunedì 20 febbraio i ministri dell’Eurogruppo hanno trovato un’intesa per sbloccare il tanto atteso secondo pacchetto di aiuti alla Grecia, che segue il primo piano approvato nel maggio del 2010 e che ha avuto scarso successo. E’ stato anche raggiunto un accordo di massima con i creditori privati: in realtà sono questi ultimi che sono chiamati al maggiore sforzo, quello che dovrebbe abbattere il rapporto debito/Pil di oltre 40 punti percentuali.

I nodi salienti dell’accordo
1) Contributo pubblico. Erogazione di prestiti da parte del Fondo di stabilità europeo (Efsf) e, in misura minore, dell’Fmi, per un totale di 130 miliardi di euro, da versare entro il 2014. Parte di questi fondi serviranno per ricapitalizzare le banche greche, che subiranno il maggiore impatto del contributo richiesto al settore privato. Il contributo pubblico è subordinato alla attuazione del programma di aggiustamento economico e fiscale e del successo della operazione di coinvolgimento del settore privato.
2) Contributo privato. I creditori privati (banche, fondi, assicurazioni) rinunciano subito al 53,5 per cento del valore nominale dei titoli che detengono in portafoglio. Per il valore restante, i titoli vengono sostituiti in parte (31.5 per cento del nominale) con titoli pubblici greci a lungo termine (scadenza tra 11 e 30 anni) e tasso d’interesse inferiore a quello di mercato (tra il 2 per cento e il 4,3 per cento, a seconda della scadenza del titolo), in parte (15 per cento del nominale) con titoli emessi dallo Efsf. Tenendo conto del basso tasso d’interesse concordato, si stima un “taglio di capelli” (haircut) sul valore  attuale dei titoli attorno al 70 per cento.
3) Contributo del Sistema Europeo di Banche Centrali. I profitti realizzati dal Sebc (Bce e banche centrali nazionali) sui titoli in portafoglio verranno trasferiti, tramite i governi nazionali, alla Grecia. Ciò dovrebbe fornire un ulteriore contributo di 3,2 miliardi da qui al 2020.

A fronte di queste concessioni, il governo greco si è impegnato a realizzare un impegnativo programma di aggiustamento economico e di finanza pubblica: quello approvato dal Parlamento greco il 12 febbraio. Ma l’accordo della scorsa notte aggiunge altre condizioni di non poco conto.

Il ruolo della “Troika” e del settore privato
La Commissione Ue dovrà instaurare un monitoraggio permanente: dovrà in sostanza mettere propri rappresentanti nei ministeri del governo greco, per controllare che i provvedimenti previsti vengano adottati e messi in pratica. Inoltre, la Troika dovrà controllare che i fondi ricevuti con gli aiuti comunitari, oltre ai fondi interni destinati al servizio del debito, vengano versati su di un conto apposito, dedicato al rimborso del debito in scadenza. Si richiede anche alla Grecia di inserire nella sua Costituzione una norma che dia priorità al servizio del debito pubblico nell’utilizzo dei fondi disponibili (quest’ultima richiesta è un po’ vaga: non si capisce a quali fondi si faccia riferimento).
Il vero contributo alla stabilizzazione del debito pubblico greco dovrebbe venire dal settore privato. In caso di adesione al 90 per cento da parte dei creditori privati, il debito greco verrebbe immediatamente ridotto di 96 miliardi, portando il rapporto debito/Pil dal livello attuale (oltre il 160 per cento) al 120 per cento circa. Secondo le previsioni, questo rapporto aumenterà negli anni successivi per poi ritornare ad un livello prossimo al 120 per cento nel 2020. Il contributo pubblico è sotto forma di prestiti: quindi sostituisce debito esistente con altri debiti. Naturalmente ciò non vuol dire che sia inutile: esso serve ad evitare che il governo greco debba andare sul mercato a finanziarsi ai tassi d’interesse proibitivi attualmente prevalenti sul mercato secondario. Il contributo del Sebc è in realtà solo un trasferimento dei profitti che esso farà, avendo acquistato titoli greci ad un prezzo ben al di sotto del valore nominale: i titoli detenuti dal Sebc verranno infatti rimborsati al loro valore pieno.

Tre elementi di fragilità
Nei prossimi giorni, sarà decisiva la attuazione del piano concordato con i rappresentanti dei creditori privati. Ciò comporta la soluzione di un classico problema di coordinamento. È chiaro che ciascuna istituzione finanziaria ha un forte incentivo a non aderire al piano: se tutti gli altri vi aderiscono, chi si “chiama fuori” realizza dei bei profitti (la Bce ha dato il buon esempio…). Occorrerà quindi un buona dose di moral suasion da parte delle autorità e di controllo reciproco tra le banche. In caso di mancato successo (una adesione inferiore al 90-95 per cento), il governo greco prevede di applicare forzatamente l’accordo, mediante la applicazione retroattiva di Cac (Clausole di Azione Collettiva) ai titoli già in circolazione; anche questa strada però richiede un livello di adesione volontaria non da poco (almeno il 70-75 per cento dei creditori affinché si possa applicare la Cac). (1)
Questa strada potrebbe inoltre fare scattare i famosi Cds (Credit Default Swap), aggiungendo un ulteriore elemento di destabilizzazione del mercato dei titoli greci. Questi elementi di fragilità riflettono la contraddizione di fondo del cosiddetto “coinvolgimento del settore privato”: si sta di fatto organizzando una insolvenza senza volerla chiamare con il suo vero nome.
Guardando oltre, le maggiori perplessità derivano dal fatto che, nonostante lo stretto monitoraggio della Troika, gli obiettivi di bilancio concordati potrebbero essere disattesi, anche a causa di un peggioramento della congiuntura rispetto alle previsioni alla base del piano stesso. Ciò è alquanto probabile, dato l’impatto recessivo di alcune delle misure imposte (riduzione dei salari e delle pensioni, licenziamenti nel settore pubblico, aumenti di imposte). Siamo quindi destinati ad assistere ancora alle estenuanti trattative che avverranno in prossimità della erogazione di ogni tranche del prestito.

La miopia della Troika
È difficile dire se la Grecia uscirà mai da questo incubo. Certo la strategia del Fmi e dei partner europei, tutta improntata al raggiungimento di ambiziosi target di bilancio in tempi ravvicinati, non ha aiutato. Ovviamente i greci hanno le loro responsabilità, e non solo i governanti: anche tutti coloro che evadono sistematicamente il fisco, ad esempio. Tuttavia, una strategia più lungimirante della Troika avrebbe imposto alla Grecia vere riforme (lotta all’evasione fiscale, privatizzazioni, ridimensionamento del settore pubblico) in tempi ragionevolmente lunghi, senza l’ossessione degli obiettivi immediati sui saldi di bilancio. I risultati della miopia della Troika sono sotto gli occhi di tutti: un piano di sacrifici che ha fatto salire ai massimi livelli la tensione sociale e una insolvenza pilotata dagli esiti incerti.

(1) Una curiosità: nelle stesse ore in cui si negoziava il “coinvolgimento del settore privato”, la Bce faceva una operazione, concordata con il governo greco, grazie alla quale i titoli in suo possesso venivano sostituiti con altri titoli immuni da eventuali Cac

*Insegna Economia Politica presso l’Università Cattolica di Milano.  E’ consulente del Parlamento europeo (Budget, Budgetary control e Policy Challenges Committees)

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