L’Italia potrebbe soffrire presto di una “grave carenza di insegnanti” perché è il Paese Ue con la percentuale più alta di ultracinquantenni nelle scuole superiori. È quanto emerge dal rapporto “Key Data on Education in Europe” pubblicato a Bruxelles sullo stato di salute dell’insegnamento europeo. Unica consolazione è che non siamo i soli, anche se di sicuro siamo i più “anziani”.

Sembra impossibile a guardare le graduatorie strapiene di insegnanti non ordinari e in attesa di un posto fisso, eppure non è vero. Saranno pure i più esperti, ma la percentuale di ultracinquantenni nelle scuole superiori italiane secondo Bruxelles è davvero troppa, ben il 57,8%. Ci si avvicina solo la Germania, che si attesta comunque ben 7,1 punti percentuali sotto di noi. Quasi inesistenti gli under 30, solo lo 0,5% del totale, ma purtroppo non è una novità. Eppure negli altri Paesi insegnare per i neo laureati non è un tabù: in Germania sono il 3,6%, in Bulgaria il 5,5%, in Austria e Islanda addirittura il 6%. E in questo caso la cultura latina del “vecchio saggio” non c’entra niente: nella vicina Spagna i giovanissimi ad avere una cattedra sono ben il 6,8%.

Dati e numeri che hanno spinto gli autori del rapporto Ue (Eurydice network ed Eurostat) a suonare l’allarme “carenza insegnanti” in un Paese dove c’è chi cerca di diventarlo da oltre vent’anni. Parliamo dei docenti intrappolati da anni nelle famigerate graduatorie propedeutiche all’inserimento professionale permanente, eterne ragnatele nelle quali entrare è difficile ed uscire ormai quasi impossibile. Ma attenzione, nemmeno in questo frangente possiamo parlare di “giovani”. “L’età media degli insegnanti che si trovano nelle graduatorie permanenti ad esaurimento è di circa 40 anni”, riferisce Fabrizio Da Crema, responsabile scuola Cgil. Vuol dire che la media dei 200mila docenti che ne fanno parte aspettano da più di dieci anni di diventare indeterminati. Il panorama è sconfortante.

“Si tratta di una peculiarità italiana perché altrove hanno programmato meglio il rapporto università e istruzione”, spiega Da Crema, “E poi hanno un mercato del lavoro che funziona meglio del nostro. Basti pensare che in alcuni Paesi del nord Europa mancano gli insegnanti in materie scientifiche dal momento che questi laureati sono quasi tutti risucchiati dalle imprese. Pertanto lì c’è addirittura domanda di professori extracomunitari”.

E il futuro? Nero come il carbone, dal momento che la situazione è destinata ad aggravarsi. Secondo la Cgil, allungamento dell’età pensionabile (riforma Fornero) e blocco delle assunzioni dovute ai tagli del settore, non faranno altro che invecchiare ulteriormente il settore, con buona pace di chi aspira ad iniziare la professione. Qualcosa doveva cambiare con il decreto semplificazione Profumo, che avrebbe dovuto ridurre dall’anno prossimo l’organico funzionario, ma il ministero del Tesoro l’ha impedito per motivi di cassa e tutto si è trasformato in semplici linee guida, insomma in un nulla di fatto. D’altronde i ministri si susseguono ma riformare l’istruzione italiana si è davvero difficile. L’ex ministro Mariastella Gelmini, ad esempio, si è concentrata tutta su formazione universitaria e tirocinio attivo, ma il nodo del concorso abilitante è rimasto irrisolto.

Insomma, come fare per ringiovanire la professione? Bella domanda. “Abbiamo due tipi di precari: quelli di fatto che occupano le graduatorie permanenti e poi i giovani che devono entrare nella professione”, spiega Da Crema. “Ma se si attinge solo dalla graduatoria, di giovani non ne entreranno più”. “Lo sviluppo professionale degli insegnanti è la chiave per assicurare un buon sistema educativo agli studenti”, ha affermato la Commissaria Ue educazione e cultura Androulla Vassiliou a margine della presentazione del rapporto Ue. Sarà vero, ma da noi il problema maggiore è proprio diventare insegnanti, poi si vedrà.

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