Non era un  mio amico. Era solo un mio conoscente. L’avevo incontrato qualche volta a casa di amici comuni: dava la sensazione di un uomo che tenesse a freno la sua giovialità. Alto, panciuto e con un sorriso dai denti troppo grossi. Gli occhiali spessi non facevano ben vedere gli occhi, però ricordo che erano azzurri. Veniva dall’Olanda e si era trasferito in Toscana per amore.

Viaggiava molto per lavoro, perché in diverse località olandesi aveva filiali della sua impresa e seguiva scrupolosamente i suoi affari. Mi pare producesse insaccati. Da qualche anno aveva sposato in seconde nozze una signora della mia città: piccola e sorridente anche lei, con gli occhi celesti e un bel viso; se non si fossero sposati così avanti negli anni avrebbero fatto figli biondi e invidiabili. Si volevano bene. Con lei, appena poteva andava a sentire concerti di musica classica; per lui era una vera passione e lo si capiva dal modo in cui descriveva uno spettacolo, un’opera lirica, un quintetto. Recentemente ci siamo trovati vicini a tavola: ricordo la sua risata contagiosa e certi suoi improvvisi entusiasmi.

Poi, un giorno di metà febbraio, si è ucciso. Qui, nella sua casa toscana. Gli affari, dicono, avevano cominciato ad andare male, la crisi, il calo di ordini, era preoccupato e sappiamo quante altre espressioni accompagnano questi drammi. E io mi chiedo, come si può passare da tanta vita a tanta morte, senza suonare un campanello di allarme? Dietro il suo viso largo e solare, quanta paura e quanta angoscia erano già entrate? Mi viene in mente un verso di Izet Sarajlic, grande poeta amico di Erri de Luca, che dice: “…solo la guerra non suona quando entra nelle case”.

Anche questa crisi entra nelle case in silenzio, corrode il coraggio, impone la vergogna e, ai fragili, la morte. Del mio conoscente i giornali non hanno dato notizia; forse perché era olandese o forse perché lui non ha lasciato scritte le “ragioni del suo gesto”, come si dice in linguaggio freddo.

Ora andrà ad ingrossare le file dei tanti assassinati dalla crisi e avvolti dal silenzio. Io non scrivo per trovare soluzioni. Né per ricevere risposte. Non invento situazioni; non ce n’è bisogno: “la vita è trascorsa, e se ne va via. Resta da scriverci una poesia”. Così dice il poeta Izet Sarajlic.

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