Shady Hamadi

Quando vado in libreria, mi capita spesso di trovare i miei libri tra gli scaffali degli autori stranieri. Sorrido al pensiero che i librai mi considerino uno scrittore siriano; forse nessuno legge più le quarte di copertina, dove viene riportata una biografia dell’autore, altrimenti si sarebbero accorti che sono italiano.

Io sono italiano, penso in italiano, scrivo in italiano – non in arabo – e la mia cultura è italiana. Ho letto Khalil Gibran e Tawfiq al Hakim in italiano. La maggior parte delle volte, ho conosciuto la cultura araba attraverso traduzioni italiane. Come posso essere considerato uno scrittore siriano, e non perlomeno italo-siriano, quando in arabo non circola nulla di mio e pochissimi in Siria sanno che mi dedico a questa attività?

È importante la questione sollevata da Daniela Padoan: se l’identità culturale di uno scrittore è così chiara, come possiamo togliergli la cittadinanza, mettendo i suoi libri negli scaffali della narrativa straniera?

Igiaba Scego ha sottolineato come anche le case editrici abbiano colpe nel trascurare gli autori immigrati o figli di immigrati. Non posso che darle ragione. Veniamo considerati come narrativa di frontiera, poco commerciabile. Questa visione, analogamente, la si trova anche nel campo delle traduzioni in lingua italiana. È noto come moltissimi autori, soprattutto arabi e africani, non vengano tradotti in italiano, mentre possiamo trovare una ricchissima letteratura araba e africana tradotta in inglese e francese. Molti di noi hanno letto, in italiano, Nagib Mahfuoz. I suoi libri li possiamo trovare ovunque, in abbondanza, perché nel 1988 gli fu assegnato il premio Nobel per la letteratura. Solo dopo questo prestigioso riconoscimento, in Italia fu commercializzato e diffuso Mahfouz, ma se non fosse stato insignito del Nobel, quanto ci saremmo persi?

Molti altri autori che meritano di essere letti sono sconosciuti ai più, perché – a detta dei grandi editori– “poco commerciabili”. Accade lo stesso agli scrittori “della migrazione”. Invece, alcune piccole case editrici hanno scommesso su di loro. È il caso dell’editore Compagnia delle lettere, che da anni pubblica scrittori come Tahar Lamri, Karim Metref, Marco Wong, riscuotendo grande successo di vendite e lettori.

Credo che i grandi editori debbano interessarsi di più a questa letteratura, che non è per nulla anticommerciale, e che nelle librerie debba venir considerata “narrativa italiana”, non straniera.

Lo scontro di civiltà, la paura verso “l’altro”, si possono superare anche leggendo, ma bisogna avere i libri da leggere.

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