Chissà se, come accadde dopo il 6 aprile 2009, giorno del terremoto all’Aquila, sarà smentirà anche questa “previsione”. Può darsi, ma intanto accade che, quando la terra trema con effetti più o meno percepibili, si ritiri fuori lui, Raffaele Bendandi, nato a Faenza nel 1893 e morto 86 anni dopo, nel 1979. Non era uno scienziato in senso stretto, lo studioso faentino, ma un appassionato considerato un ciarlatano nelle aule accademiche e un volto pubblico a cui chiedere un’opinione (lo faceva anche la Rai) quando qualche sciagura si abbatteva sul territorio nazionale.

Diventò per l’opinione pubblica “l’uomo dei terremoti” e oggi, a qualche ora di distanza dal terremoto che ha colpito il Nord Italia concentrandosi tra Emilia, Lombardia e Veneto, il passaparola della rete annuncia l’esistenza di alcune carte del romagnolo secondo le quali “il 5 ed il 6 aprile 2012 una nuova serie impressionante di sismi colpirà l’intero pianeta e l’Italia potrebbe essere tra le zone più terremotate”.

Di fatto, qualcosa di analogo si era registrato dopo il terremoto dell’Aquila, quando si diffuse la presunta previsione di un nuovo cataclisma previsto per l’11 maggio 2011. Falso, dissero gli aderenti alla Bendandiana, associazione fondata a Faenza dopo la morte dell’uomo e alla cui testa siede Paola Lagorio, studiosa del metodo “del Bendandi”, come si intitola anche un suo libro.

Rimane però la figura controversa di un uomo nominato cavaliere del lavoro da Giovanni Gronchi ai tempi del suo settennato alla presidenza della Repubblica, tra il 1955 e il 1962. E ancora prima, nel 1927, in pieno ventennio fascista, Raffaele Bendandi ricevette dalle mani di Benito Mussolini il titolo di cavaliere dell’ordine della corona d’Italia salvo poi essere diffidato (trasgredendo al divieto) dal formulare nuove previsioni di terremoti.

La passione per lo studio dei terremoti gli era nata dopo il 1908, quando Messina venne rasa al suolo e ci rimisero la vita tra le 90 e le 120 mila persone. Già affascinato dalle scienze e dall’astronomia, non proseguì negli studi per via dell’umile estrazione, ma lesse e scavò in libri e manuali per conto suo anche al fronte, durante gli anni della prima guerra mondiale. E nel 1920 su ammesso nella Società sismologica italiana formulando anche una propria teoria, la “sismogenica”. In base a essa si poteva stimare il verificarsi di un terremoto studiando il moto dei pianeti e i campi gravitazionali dei satelliti, come la Luna.

Prove ed esperimenti li svolse sull’Appennino tosco-emiliano e nel 1923 venne consegnata a un notaio di Faenza una delle sue prime “previsioni”: un terremoto il 2 gennaio 1924 nelle Marche. Sbagliò di qualche giorno, ma azzeccò la zona, Senigallia, provincia di Ancona. Un caso? Non importa perché il Corriere della Sera lo sbatté in prima pagina come “colui che prevede i terremoti” e con il tempo la sua nomea attraversò i continenti arrivando a farsi dedicare un articolo dal Time nel 1931 e guadagnandosi una collaborazione con la United Press.

La sua vita proseguì con foga sempre crescente negli studi. Creò un osservatorio nella sua casa via Manara 17, a Faenza, e inascoltato fu l’allarme che diede alla vigilia del terremoto del 1976 in Friuli. Nel frattempo suoi scritti erano stati affidati all’Accademia dei Nuovi Lincei e a quella pontificia, ma con la sua morte, avvenuta il 3 novembre 1979 a causa di un incidente con le sue attrezzatture (un rullo gli cadde sulla testa), ci fu qualcuno che trasse un sospiro di sollievo vedendo uscire di scena uno che, per gli scienziati, aveva la stessa affidabilità del torinese Gustavo Rol, il sensitivo dei potenti del Novecento.

Di fatto, invece, con la creazione della Bendandiana si è iniziato a fare ordine negli scritti che “l’uomo dei terremoti” lasciò ed è un centinaio il numero delle previsioni che formulò fino al 1977. Oggi torna o, meglio, torna il suo spettro che, forse, come nel 2009, è più funzionale a recuperare dal dimenticatoio un personaggio che comunque un pezzo di storia nazionale se la ritagliò.

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