Lo si dica ai lavoratori, in mobilità o con prospettive incerte per il futuro, che l’industria del lusso non conosce crisi, come sostiene la Fashion and Luxury Insight 2011, recente indagine della Sda Bocconi e della fondazione che riunisce le aziende dell’eccellenza italiana, Altagamma. E lo conferma nell’ultimo bimestre il Cermes, il centro di ricerca su marketing e servizi targato sempre dall’ateneo milanese di cui è stato presidente l’attuale premier Mario Monti.

Se infatti gli acquisti natalizi tra novembre e dicembre crollano dell’8,1% per i comuni mortali tenendo invece sul fronte dello sfarzo, per il più dorato dei comparti industriali il fatturato 2010 ha registrato un più 10,9% per cento mentre la previsione per la fine del 2011 parla di un giro d’affari di 191 miliardi di euro, almeno per le 67 aziende italiane che operano a livello internazionale. E la chiave del consolidamento sta proprio qui, sul livello internazionale, che può essere identificato con maggiore precisione servendosi di una sigla, Bric, acronimo di Brasile, Russia, India e Cina. Se si vende, dunque, lo si fa nelle nazioni che, quasi dismessa la casacca di Paesi in via di sviluppo, si attestano come tigri dell’economia mondiale.

Guardandosi in casa, dentro i confini nazionali, invece la situazione sta in termini differenti. A iniziare dai dipendenti di alcune delle aziende del lusso, scesi in sciopero nel corso del 2011 per difendere il proprio posto, in via di decollo (se non già decollato) verso mercati del lavoro più concorrenziali per gli imprenditori del made in Italy. È accaduto nel caso della bolognese Ducati, con aspirazioni produttive in Thailandia e che fa anche bolidi per fasce reddituali non eccelse, ma le cui due ruote possono sfondare da listino anche i 30 mila euro.

Ma poi ci sono vicende legate a passaggi di proprietà, contrazioni degli ordinativi, centri di logistica ritenuti non più convenienti che mettono a rischio posti di lavoro. Si veda, per iniziare, il più recente di questi casi, quello della Ferretti Yacht, l’“italian luxury yacht builder” che opera a livello mondiale e che ha il suo quartier generale a Forlì. A fronte di un passivo di 600 milioni di euro, meglio cogliere al balzo l’offerta dei cinesi della Shandong Heavy Industry Group che vogliono rilevare il 58% delle quote. E in ballo, oltre al ripianamento di un rosso che deve essere ridotto di sei volte e che al momento pare in un momento di stallo, c’è il destino di 2000 lavoratori.

Distribuiti tra la sede romagnola e i cantieri di La Spezia, Ancona, Cattolica, Sarnico, Marotta e San Giovanni in Marignano, i dipendenti stanno già dialogando con i rappresentanti sindacali. I quali, prima di ritrovarsi con una dichiarazione di stato di crisi, hanno poco tempo fa scritto al ministro per lo sviluppo economico Corrado Passera per ricostruire una situazione che minaccia una deriva poco rassicurante per le maestranze.

Poco rassicuranti invece lo sono già stati gli ultimi 2 anni per i lavoratori della modenese Maserati. È dal febbraio 2010, infatti, che chiedono risposte sul piano industriale di cui la casa del Tridente intende dotarsi. Da quando, più nel dettaglio, si parlava di trasferire la produzione dal cuore dell’Emilia al Piemonte andando ad occupare gli stabilimenti di Grugliasco sotto egida Fiat. Nel caso della Maserati, l’incertezza riguarda 700 persone e gli scioperi convocati tra maggio e l’autunno 2011 sono arrivati a raccogliere fino al 95% delle adesioni.

Nei vicini stabilimenti della Ferrari, che si trovano in provincia di Modena, a Maranello, si è arrivati anche al punto di annunciare che l’azienda “il 16 novembre si è spenta presso Confindustria. La Rsu ne dà il triste annuncio”. Si è trattato di un presidio dei lavoratori, con tanto di bara che conteneva il contratto e l’annuncio di una dozzina di ore di sciopero solo nel mese di dicembre (una quarantina quelle precedenti dichiarate sotto le sigle confederate che contestavano l’esportazione del modello Marchionne). Scopo del luttuoso annuncio: denunciare che dal 1 gennaio 2012 il contratto non esisterà più per i dipendenti della più nota delle auto di lusso italiane. Né nazionale né aziendale. Con la conseguenza che i livelli salariali rimarranno invariati rispetto a quelli del 2008.

Spostandosi invece nel bolognese, a Cadriano di Granarolo, e cambiando settore – dai motori alle griffe – già in primavera ci si avviava verso la mobilità per 30 di 150 lavoratori (75 solo per il nodo emiliano) della Mandarina Duck, considerata fino al 2009 una società modello del manifatturiero. Dopo il fallimento di Mariella Burani chiesto nel gennaio 2010 e divenuto ufficiale nell’aprile successivo, il motivo della crisi bolognese starebbe, secondo la proprietà dell’azienda (il 42% è della Mosaicon e il 58% appartiene al fondo inglese 3I), in un calo degli ordinativi. Ma una ricapitalizzazione avrebbe risolto il problema garantendo la produzione, sostengono i sindacati. Niente da fare, però, per le proposte suggerite dai rappresentanti dei lavoratori e nemmeno per i ventilati ingressi di nuovi soci. L’unico compromesso è stato raggiunto sulla mobilità “volontaria” e su turnazione.

E infine il 2011 non è stato un anno tranquillo nemmeno per Furla, marchio storico nella produzione di borse, valigie e calzature con sede ancora nel bolognese, a San Lazzaro di Savena, e punti vendita in tutto il mondo (da Londra a New York, da Singapore e Tokyo con un record di vendite dell’11% nel Paese del Sol Levante). A maggio si è prospettata la mobilità per 54 persone (sulle 236 comprese nell’organico complessivo) in “esubero strutturale”, quasi tutte addette alla logistica, e la chiusura di un magazzino da 5 mila metri quadrati.

Per il 2012 che attendersi allora? Le previsioni formulate nel Rapporto sull’economia regionale 2011 realizzato da Unioncamere e Regione Emilia Romagna parlano di export verso l’estero – il canale di sbocco privilegiato per l’industria del lusso – che crescerà solo del 2,5%. “Dovremo fare di tutto per evitare che il 2012 sia un anno di stagnazione o peggio di recessione”, ha commentato Gian Carlo Muzzarelli, assessore regionale alle attività produttive.

Ma di formule, al momento, sembrano non essercene mentre Prometeia, che si occupa di ricerca macroeconomica dal 1974 e che ha sedi a Bologna, Milano, Roma e Beirut, dà in flessione il comparto della moda (-4%) con un indice della produzione industriale in costante contrazione (-2,7% nel quarto trimestre 2011). Tempi duri, dunque, se è vero che “in dicembre l’indice risulterebbe inferiore del 20% rispetto al picco pre-crisi dell’aprile 2008”. In tema di consumi autoctoni, ancora sempre secondo Prometeia, si deve attendere un segnale positivo solo per il 2013, con un timido recupero dello 0,4%.

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