L’ultimo fotogramma della sua vita lo scatta una vicina di casa mentre la polizia giudiziaria porta fuori il cadavere. Lugano, via Angelo Baroffio 4, strada residenziale, discreta e silenziosa. L’avvocato Daniele Borelli si è suicidato qua. Quando: lunedì mattina. Come: resta un mistero. Gli investigatori blindano qualsiasi indiscrezione. Fonti giornalistiche locali sollevano due ipotesi: impiccagione o un colpo di pistola. Ciò che resta è una morte che scivola discreta dentro a questa cittadina del Canton Ticino. Nato a Zagabria 47 anni fa, Borelli non aveva moglie né figli. Vita tranquilla la sua, passata sotto traccia. Casa e lavoro. Un ufficio d’avvocato. E un’ombra troppo pesante per essere sottovalutata nel tentare di tracciare il movente del suo gesto.

Il suo nome, infatti, compare nelle carte dell’inchiesta che pochi giorni fa hanno raccontato, per l’ennesima volta, i rapporti della ‘ndrangheta con politica e impresa. Inchiesta milanese che fa sponda in Calabria e che rimbalza in Svizzera. Proprio a Lugano, proprio nell’ufficio di Borelli che da tempo era in contatto con l’avvocato calabrese Vincenzo Minasi finito in carcere con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Amicizie pericolose che a Borelli sono valse l’iscrizione nel registro degli indagati da parte della procura di Reggio Calabria. Secondo i magistrati, che fino a lunedì ancora non avevano ottenuto l’autorizzazione al fermo da parte delle autorità svizzere, Borelli, assieme a Minasi e a Carmelo Gallico ha “partecipato moralmente e materialmente alla costituzione della Zenas Llc, stipulando personalmente, quale rappresentante legale della stessa società il contratto” con il quale il 27 febbraio 2008 diversi terreni (per un totale di 69.617 metri quadrati) appartenenti alla cosca Gallico di Palmi “venivano formalmente ceduti alla citata società dai coniugi”. Il tutto con l’aggravante di aver agevolato l’attività dello stesso clan”

Il nodo che potrebbe sciogliere le ombre sul suicidio, probabilmente, sta scritto nelle oltre duecento pagine del fermo reggino a carico di Minasi. Pagine che raccontano di un rapporto molto stretto tra i due legali. Non a caso, rilevano gli investigatori, lo stesso avvocato, arrestato per aver favorito gli interessi della ‘ndrangheta, quando saliva in Svizzera si appoggiava all’ufficio di Borelli, dove per altro aveva sede la Zenas, società costituita nel 2007 nel paradiso fiscale di Wilmington (Delaware – Stati Uniti d’America).

Il 16 dicembre 2009 la polizia capta una conversazione tra i due. Si legge nel decreto di fermo: “Nel corso della conversazione Minasi e Borelli discutevano di una somma di denaro da incassare in Calabria per operazioni finanziarie e/o transazioni immobiliari già concluse”. E ancora: “Dopo una prima parte di dialogo molto esplicita, Borelli iniziava ad esprimersi in termini più criptici e chiedeva a Minasi quando sarebbero stati effettuati i pagamenti di “quelle fatture che abbiamo in ballo”, precisando di essere a corto di liquidità”. L’interlocutore di Borelli lo tranquilizza e gli dice che “sarebbe tornato in Calabria il 27 dicembre e aggiungeva che sperava di “risalire con con qualcosa di concreto”.

Borelli risulta amministratore unico di una società, la Tayolor Duemila, che si occupa di abbigliamento e la cui sede legale si trova a Milano in via Spartaco. Mentre a Lavena Ponte Tresa in provincia di Varese fino al 2001 era socio al 5% della Steel Promotion Trading srl. All’oggetto sociale si legge: promozione e finanziamento e consulenza e servizi in genere nell’ambito di impianti siderurgici, ma anche operazioni di commercio internazionale di metalli e materie prime in genere. Socia al 90% una donna dell’est. In realtà, spulciando nel sito della camera di commercio della Repubblica e Cantone Ticino emergono molteplici interessi di Borelli in decine di sociétè anonyme.

Insomma, sulla morte di Borelli si addensano molte ombre e poche certezze. Una di queste sta nella costituzione della società americana. A raccontarlo è lo steso Minasi a colloquio con un esponente della cosca Gallico. Il legale, infatti, spiega che le varie operazioni immobiliari sono state fatte attraverso la Zenas “per eludere la normativa in materia di misure di prevenzione patrimoniali”. Quindi svela che la “la necessità di costituire la società negli U.S.A” è dovuta al fatto che in Svizzera “per i reati di mafia non c’è neanche il segreto bancario”. Da qui la certezza che “l’Autorità Elvetica avrebbe dato alle autorità italiane”. Dice Minasi testualmente: “Tutto a carte scoperte”. Di conseguenza “l’unica cosa è stata di fare la società Americana e sapete perché? Perché qui possono arrivare, ma qui non arrivano. Perché non arrivano? Perché qui non hanno il certificato…capito?”, per cui “arrivano alla società, ma non al proprietario della società”. Ecco perché “non dobbiamo fare atti in Italia ” e “dobbiamo girare soldi”. Conclusione: “Se ci paga estero su estero mettiamo i soldi dove vogliamo, senza dirlo a nessuno”.

In realtà lo stesso Borelli, definito da Minasi “l’anello debole perché conosce me e ha fatto l’atto”, della triangolazione, gestisce due delle tre società che ruotano attorno al tentativo dei Gallico di schermare i proprio beni. Per questo, nel momento in cui il legale arrestato, prefigura il cambio all’interno della Zenas consiglia cautela ai boss. Borelli, infatti, secondo i magistrati, conosce personalmente i familiari della cosca.

Quello che emerge dall’inchiesta è, dunque, “uno schema collaudato” che consente a clienti di Minasi “di realizzare intestazioni fittizie di beni mediante la creazione, ad hoc, di società con sede all’estero alle quali venivano trasferiti i beni. Le società “venivano costituite con il fondamentale apporto dell’avvocato Borelli e gestite da quest’ultimo”

Eccolo, allora, il ruolo di Borelli. Non poca cosa, secondo gli investigatori, che avrebbero voluto interrogarlo. In via Baroffio a Lugano, però, questa è ancora una storia non scritta. Daniele Borelli per tutti resta solo un avvocato stimato dalla vita tranquilla. Forse troppo.

di Davide Milosa e Mario Portanova

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