Una parte del volantino sul tesseramento 2012 della Lega Nord

“L’indipendenza è l’unica via”. Titola così oggi La Padania, in occasione della riapertura del Parlamento Padano a Vicenza. E già Roberto Maroni aveva anticipato il ritorno secessionista: una Padania “indipendente” all’interno di un’Unione Europea “delle Regioni”. Rispolverando il tema caro ai leghisti: quella secessione che ormai dal 1992 (quando la Lega Lombarda è nata con Umberto Bossi ed è stata poi registrata ufficialmente solo nel 1994) il Carroccio sventola a ogni momento difficile per ricaricare i propri simpatizzanti. E quello attuale, per il partito, è il periodo più nero da sempre: il rapporto con la base è in forte crisi da mesi. I militanti vogliono Maroni leader. Anche Bossi l’ha capito e così, da quando è tornato all’opposizione, ha dato carta bianca all’ex titolare del Viminale. Obiettivo: recuperare i consensi bruciati in questi mesi. La riscossa sarà suonata oggi da Vicenza, in quel Parlamento del Nord in sonno dal 2007, che dovrebbe rilanciare la Lega di lotta, per far dimenticare quella affamata di poltrone, degli scandali e dei favori.

L’ex ministro dell’Interno ha ribadito che l’indipendenza della Padania è l’obiettivo cui aspira il movimento, come scritto nell’art.1 del suo statuto. “Abbiamo trainato per 150 anni il carrozzone, adesso basta”, ha affermato. “A Vicenza parleremo di questo, dobbiamo cambiare il sistema europeo, dai 27 Stati bisogna passare all’Europa delle Regioni. Se no non saranno più la Merkel e Sarkozy a comandare – ha continuato – ma la Banca Centrale Europea. Dividiamo il debito tra la Padania la nostra quota la paghiamo noi”. L’idea è quella di creare una “macro regione”, ispirandosi, ha spiegato, all’insegnamento teorico di un “grandissimo padano che abbiamo messo nel nostro Pantheon che si chiama Gianfranco Miglio. Questo è il momento di dire basta – ha esortato tra gli applausi dei militanti – e alzare la testa”. L’esponente leghista ha nuovamente citato gli esempi dei Paesi Bassi della Catalogna dove si sta discutendo la possibilità di sottoporre a referendum l’ipotesi di autodeterminazione. “Se succede lì – ha sostenuto – noi non possiamo solo stare a guardare. Se c’è l’autodeterminazione, il referendum e l’indipendenza della Catalogna subito dopo ci deve essere l’indipendenza della Padania”.

Con questi argomenti il Carroccio tenta di riconquistare la base in vista delle prossime elezioni. Ma le liti interne rimangono vive. La resa dei conti tra cerchisti e maroniani è solo rimandata. Il nodo chiave si affronterà quando il governo Monti comincerà a discutere la legge elettorale: gli uomini del cerchio magico (Marco Reguzzoni, Rosy Mauro e gli altri) puntano al mantenimento del Porcellum, così da tagliare dalle liste i dissidenti; mentre i maroniani vogliono il ritorno del Mattarellum, con la preferenza diretta, così da salvarsi dall’epurazione. E lì lo scontro, garantiscono in via Bellerio, sarà frontale e inevitabile. Ma in attesa di quel momento, è l’ordine impartito a tutti da Bossi, mostriamoci uniti e puntiamo a un obiettivo comune: recuperare la base. Per questo i vertici, anche il più riottoso Reguzzoni, hanno digerito come guida temporanea Maroni. E’ lui che parla per il partito. E’ lui che ha pubblicamente ufficializzato la fine dell’alleanza con Berlusconi. E Bossi lo ha legittimato con i fatti: l’ex premier ha tentato di smentire Maroni dicendo che avrebbe incontrato direttamente il Capo venerdì. Ma il Senatùr gli ha dato buca: niente incontro.

Per più di un anno i militanti hanno chiesto in ogni modo al Capo di staccare la spina al governo di Silvio Berlusconi, rimproverandogli di aver sostenuto le leggi ad personam, di aver salvato i mafiosi dal carcere e, cosa ancora peggiore, di andar inviato un fiume di soldi al Sud (come il salvataggio dei conti del comune di Catania) e chiudendo invece il già sottilissimo rivolo che arrivava al Nord. La contestazione ha raggiunto tali livelli che poco prima dell’estate il partito è stato costretto a chiudere il filo diretto di Radio Padania con gli ascoltatori (prima volta dalla nascita dell’emittente) e imbavagliando tutti i forum ufficiali. Così la protesta si è spostata nelle piazze, tanto che Bossi lo scorso agosto è stato persino costretto a cancellare alcuni comizi. E la base inascoltata ha cominciato a guardarsi intorno nel partito: “Bossi e Calderoli si sono venduti ai palazzi romani, l’unico che si salva è Roberto Maroni”, è partita così da Varese la rivolta. E così, prima a Pontida poi a Venezia, i leghisti hanno esposto per la prima volta manifesti che non inneggiavano al Capo ma all’ex ministro dell’Interno: “Bobo presidente del Consiglio”.

Da agosto a oggi lo scontro interno ha raggiunto apici imprevedibili, come al congresso provinciale di Varese del 9 novembre, con Bossi addirittura contestato e costretto a imporre un unico candidato e a vietare il voto: tutto per rallentare l’ascesa dei maroniani, ormai inarrestabile. Con lui i sindaci Flavio Tosi e Attilio Fontana, i due recordman di voti del Carroccio. Il sindaco di Verona, per fare un esempio, vinse la carica con una lista separata da quella della Lega: la sua prese il 20%, quella del partito si fermò al 10. E ora Tosi, che in primavera torna a doversi confrontare con le urne, sta pensando a un partito dei sindaci. L’aria in casa è dunque molto tesa. Maroni ha oggi la possibilità di mostrare cosa sa fare nei panni di leader, poi dovrà armare i generali per la resa dei conti finali. Per oggi rimandata, oggi è festa a Vicenza, riapre il parlamento del Nord.

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