Negli anni Novanta, il governo cinese promosse a colpi di propaganda la vendita del sangue nelle campagne. C’era un modo semplice per uscire dalla povertà: 100 Rmb (meno di 10 Euro), per ogni litro di sangue venduto.

Dopo qualche titubanza, i contadini – poverissimi – aderirono in massa. Volevano case di mattoni e nuovi pollai.

I villaggi come di incanto si riempirono di centri di raccolta per il sangue, le stalle si trasformano in ambulatori e c’era persino chi guidava il carretto in mezzo ai campi per convincere i lavoratori chini sotto il sole a offrire il loro braccio all’ago.

Dieci anni dopo qualcuno era diventato ricco, ma molti cominciavano ad ammalarsi. E a morire. Di febbre, dicevano. E succedeva soprattutto a chi aveva venduto il sangue. Cioé quasi tutti.

«Dopo essersi risvegliato da quel sogno, il nonno era stato convocato dalle autorità provinciali per partecipare a una riunione. Avevano chiamato lui perché il Villaggio dei Ding non aveva piú un capo. E fu proprio al ritorno da questa riunione che il nonno capì tutta una serie di cose.Primo, seppe che la febbre non si chiamava affatto febbre, il suo nome scientifico era AIDS; secondo, quelli che all’epoca avevano venduto il sangue e nel giro di dieci o quindici giorni avevano avuto la febbre, adesso dovevano necessariamente aver contratto l’AIDS; terzo, quando uno era malato di AIDS, all’inizio presentava sintomi identici a quelli di cui aveva sofferto otto, dieci anni prima, cioè febbre e raffreddore che scomparivano con un semplice antipiretico, ma nel volgere di sei mesi, in certi casi anche solo di quattro o cinque, la malattia esplodeva. […] Andavi avanti a penare così per cinque o sei mesi, a volte otto, molto difficilmente riuscivi a campare un anno intero e poi, poi morivi. »

Questo è un romanzo appena uscito per Nottetempo: Il Villaggio dei Ding, di Yan Lianke. Ma c’è un avviso da fare ai lettori: tutto quello che racconta è vero. Ce lo assicura Pierre Hasky, giornalista di Rue89 in quegli anni corrispondente in Cina per Libération, nel suo libro inchiesta Le sang de la Chine.
E ce lo confermano, purtroppo, i recenti dati del rapporto congiunto del ministero della Salute cinese, dell’Organizzazione mondiale della sanità e l’Unaids: il numero dei sieropositivi in Cina potrebbe arrivare a 780mila entro la fine del 2011.

E la maggior parte si concentra nella regione dello Henan, il cuore della Cina. Qui, sul letto del fiume giallo, sorgeva l’ormai spopolato villaggio dei Ding. E mille altri villaggi simili a quello.

Articolo Precedente

Milano, pentita sciolta nell’acido
Il processo deve ripartire da zero

next
Articolo Successivo

Come Magri, liberi anche di morire

next