Il patron di Esselunga Bernardo Caprotti

Egregio dottor Caprotti, si faccia carico dei lavoratori delle cooperative che scaricano le merci per Esselunga. Perché se formalmente le loro condizioni di lavoro indegne “di un paese civile” non sono una sua resposabilità, dal punto di vista della sostanza lo sono eccome. E’ l’appello rivolto a Bernardo Caprotti, patriarca dei supermercati Esselunga, da Mario De Gaspari, ex sindaco di Pioltello in provincia di Milano, sede del gigantesco polo logistico del gruppo. Dove il personale del consorzio Safra – 350 persone, soprattutto immigrati, impegnate a maneggiare a ritmi pesantissimi gli scatoloni delle merce che arriverà sugli scaffali dei punti vendita – è in agitazione da giorni. La protesta è contro i turni di lavoro massacranti e l’assenza di ogni minima tutela, malattia compresa.

Caprotti, classe 1925, nelle relazioni sindacali è notoriamente un duro, un conservatore di ferro e grande finanziatore della politica berlusconiana. Ma in questo caso, formalmente Esselunga non ha alcuna responsabilità diretta. Appalta certi servizi a cooperative esterne e paga loro il dovuto. Il trattamento dei lavoratori è affare delle cooperative medesime. Ma in realtà le pessime condizioni in cui questi servizi vengono garantiti sono stranote a tutti gli operatori del settore. Da qui il richiamo dell’ex sindaco De Gaspari, esponente spesso critico del Pd e protagonista di diverse battaglie contro la speculazione immobiliare nell’hinterland di Milano. Nella lettera, De Gaspari ricorda le grandi capacità di innovazione dimostrate da Caprotti, che aprì il primo supermercato negli anni Cinquanta, quando “in Europa era ancora considerata un’impresa rischiosa”. E allora – ecco l’appello – perché non essere innovatore anche in campo sociale? “È vero, non è un problema Suo, non è una responsabilità di Esselunga”, scrive ancora l’ex sindaco. “Ma è poi davvero così? Parliamo della sostanza, non della forma o dell’aspetto legale. Davvero non La riguarda ciò che accade in casa sua, nella sua azienda? Davvero si può pensare che Lei non possa nulla per migliorare un sistema di relazioni che, francamente, a volte non è all’altezza di un paese civile? E soprattutto non è all’altezza dell’immagine della Sua grande azienda”.

IL TESTO DELLA LETTERA A CAPROTTI

Egregio dottor Caprotti,
ci rivolgiamo a Lei come fondatore di una delle principali imprese di distribuzione del nostro paese. Da oltre 50 anni le famiglie apprezzano i prodotti, l’organizzazione e l’approccio al cliente dei suoi supermercati. Lo sa che tanti di noi ormai non dicono più “vado a fare la spesa”? Dicono semplicemente “vado all’Esselunga”. Proprio così egregio dottore! La sua azienda non solo è entrata nella nostra vita quotidiana, ma ha modificato perfino il nostro linguaggio. La Fidelity card per le nostre famiglie è preziosa quasi come il bancomat. I “punti” che si accumulano ad ogni passaggio in cassa si trasformano in piccoli elettrodomestici, macchine fotografiche, strumenti per le nostre case. Non c’è dubbio che Lei sia stato un grande innovatore, come si dice oggi.

Una scrittrice americana, nel descrivere la sua impresa che data dal 1957, considera il self service “l’invenzione più importante nel settore della distribuzione degli ultimi vent’anni”. E ancora: “A metà degli anni Cinquanta lanciare un vero e proprio supermercato in Europa era considerata un’impresa rischiosa, specialmente per i neofiti”. E poi l’idea dei parcheggio come necessario complemento del negozio, quando le macchine erano ancora poche e la città non ancora in preda allo sprawl. Oggi tutti invocano l’innovazione, ma mancano gli innovatori. Chi avrebbe pensato a quel tempo di affidare a un grande architetto la realizzazione di un punto vendita? Prima Gio Ponti, col Supermaket di viale Zara, e poi il sodalizio con Ignazio Gardella e l’Esselunga non è più solo una ditta, ma diviene uno stile, un modello. I supermercati “te li farò tutti uguali, ma saranno tutti diversi uno dall’altro”.

Ed è stato proprio così, il mattone a vista come elemento compositivo caratteristico e la contestualizzazione insediativa nel luogo a caratterizzare non solo il negozio, ma l’intero quartiere, la città. Questo e altro ancora è per noi l’Esselunga. Il marchio lo conoscono tutti, anche se pochi sanno che è stato ispirato da un grande designer come Max Huber.

Oggi però siamo tutti un po’ tristi. Vediamo i lavoratori attendati fuori dai magazzini, cerchiamo di capire e sentiamo storie che avevamo conosciuto solo nei romanzi di Jack London. È vero, non è un problema Suo, non è una responsabilità di Esselunga. Ma è poi davvero così? Parliamo della sostanza, non della forma o dell’aspetto legale. Davvero non La riguarda ciò che accade in casa sua, nella sua azienda? Davvero si può pensare che Lei non possa nulla per migliorare un sistema di relazioni che, francamente, a volte non è all’altezza di un paese civile? E soprattutto non è all’altezza dell’immagine della Sua grande azienda. Certo l’immagine pubblica del nostro paese non è granché di questi tempi, ma vale la pena di adeguarsi? Perché non dare un segno di discontinuità? Perché restare nel solco e non indicare, invece, la strada?

Ci rivolgiamo dunque a Lei, egregio dottor Caprotti, perché riconosciamo nella sua figura di imprenditore coraggioso, sempre innovativo, l’uomo capace del colpo d’ala. Cosa vuol dire innovare oggi? Nel terzo millennio, nella globalizzazione dei mercati e della forza lavoro? Non significa forse anche creare condizioni perché il lavoratori immigrati possano sentirsi un po’ più a casa? Un po’ meno stranieri? Un po’ più cittadini come gli altri? È un processo inevitabile, lo sappiamo, che durerà molti anni. La storia provvederà da par suo, ma solo chi sarà stato capace di coglierne per tempo l’inevitabilità e accelerare il compiersi del destino sarà riconosciuto come un pioniere e un inventore. Per tutto questo Le chiediamo, egregio dottore, di guardare con attenzione, con disponibilità e generosità a quanto sta accadendo nella sua, e nostra, Esselunga.

Con immutata stima

Mario De Gaspari, già sindaco di Pioltello

Pioltello, 9 novembre 2011

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