La voce è sempre più insistente. Arriva da destra e da sinistra. Non è smentita più da nessun esponente del Governo. Anzi, qualcuno la rilancia. Bossi ricorda (seppur con la credibilità di chi non ha mantenuto la posizione su alcunché negli ultimi tre anni) che decide lui quando votare, e se decide lui vuol dire che non si arriva a scadenza naturale. Anche i grandi appassionati del governo di transizione/solidarietà/responsabilità nazionale/tecnico/di salvezza aggiungono la postilla: “Se proprio non possiamo farne a meno…”. Insomma, tutti o quasi sono d’accordo: si vota nel 2012. Meglio, si vota nella primavera del 2012.

Tutto dipende da Berlusconi. Anzi, tutto dipende dal Parlamento, così bistrattato ed effettivamente svuotato di poteri e autonomia: finché c’è la maggioranza alla Camera c’è il Governo. Il Parlamento, a sua volta, ha un equilibrio che dipende dalle spinte delle varie correnti, gruppi di pressione, portatori di voti e di interessi.

Se il Governo dovesse cadere a dicembre, si andrebbe a votare ad aprile. La campagna elettorale sarebbe invernale, dunque molto mediatica, e brevissima. In qualsiasi altra nazione del mondo, il centrosinistra farebbe bene a rimanere in attesa che il Governo completi l’harakiri che negli ultimi 12 mesi ha portato alla perdita di almeno quattro milioni di voti, sondaggi alla mano, e che ha dimezzato la fiducia in Berlusconi, mai così poco amato come in queste settimane.

Ma siamo in Italia. Dove il centrosinistra ha rischiato di perdere nel 2006, perdendo tre punti percentuali in 5 secondi, con sole tre parole di Berlusconi: “Aboliremo l’Ici”, una misura peraltro già ampiamente introdotta dal governo Prodi. Siamo in Italia, dove conosciamo l’alleanza di centrodestra (Pdl-Lega) e, se l’andazzo resta questo, non conosceremo quella di centrosinistra prima che la maggioranza scelga il suo candidato (coi suoi metodi) perché i dirigenti del principale partito d’opposizione, il Pd, hanno deciso di non imporre la loro linea ma preferiscono attendere Casini, che attende Berlusconi, che attende Bossi, che attende non si capisce bene cosa.

Siamo in Italia, in un Paese dove l’opposizione aspetta la maggioranza per iniziare la campagna elettorale. Immaginatevi Obama a vivacchiare mentre i Repubblicani scelgono i loro candidati alle primarie, o Rajoy in Spagna ad aspettare che Zapatero si dimetta prima di capitalizzare l’enorme vantaggio del Partito Popolare, o Sarkozy in disparte mentre i socialisti sceglievano Francois Hollande.

Nel frattempo gli italiani sperimentano una speciale, gigantesca frustrazione. Il Governo non ascolta il parere degli italiani da tempo, dunque i cittadini hanno perso ogni speranza di poter instaurare un rapporto virtuoso con le istituzioni. Ma non possono neanche aiutare l’opposizione a cacciare il governo, perché non esistono spazi di democrazia nel centrosinistra. I partiti non votano neanche al loro interno, salvo rari casi locali, dove spesso fioccano le polemiche (Lega Nord al congresso di Varese, per dirne una).

Non è un caso che ogniqualvolta i cittadini hanno potuto contare, si sono scatenati: amministrative, referendum, banchetti contro il porcellum raccontano di una nazione desiderosa di aiutare ma non messa nelle condizioni di farlo.

A proposito di legge elettorale: siamo in Italia, la nazione in cui i politici potrebbero decidere di accorciare  la vita di una legislatura (con buona pace di chi sarebbe rimasto volentieri aggrappato fino al 2013 per incassare il vitalizio) pur di non permettere al ‘popolo sovrano’ di ripristinare la democrazia delle preferenze. È la strategia della Lega, di dirigenti obiettivamente alla fine della loro corsa: se Bossi deciderà che il centrodestra non ha possibilità di vincere sia nel 2012 che nel 2013, preferirà andare a votare subito con questa legge elettorale per scegliere il pezzo di classe dirigente più malleabile e maggiormente disposta a sopravvivere con lui.

A sei mesi dalle elezioni e con questo scenario, il centrosinistra non può far passare un solo giorno senza decidere: sono giorni persi e in modo inspiegabile. Perché i voti non si spostano solo da destra a sinistra (e viceversa), ma anche da dentro a fuori: l’astensione galoppa insieme alla sfiducia della classe politica e al suo paradigma sempre più difficile da confutare: “Ssono tutti uguali”. La motivazione a votare centrodestra (specie con un altro candidato premier) potrebbe essere superiore a votare questo centrosinistra: si fa sempre in tempo a perdere.

Per sbloccare questa situazione e mettere la vittoria in ghiaccio basta un’azione: le primarie. L’alleanza con l’Udc non si può fare per due motivi: il primo è elettoral/culturale: l’elettorato del centrosinistra non vuole stare con i centristi e viceversa; il secondo è politico. Sabato Casini ha dichiarato di volere un centrodestra moderno e non ha nessuna ragione ideologica per non allearsi con un Pdl privo di Berlusconi. Ha inoltre aggiunto che il Terzo Polo correrà da solo in caso di politiche nel 2012, facendo valere la classica legge dei due forni al Senato e ipotecando così i programmi (e forse, i candidati) di entrambi gli schieramenti. Non c’è alcun vantaggio in un’alleanza con il centrosinistra.

La foto di Vasto, il trio Pd-Sel-Idv è l’unica soluzione possibile. Può non entusiasmare, ma non ci sono alternative. Non si può ripetere l’Unione. All’interno di questa alleanza può essere studiato un meccanismo di ‘Primarie doppie di coalizione’: il cittadino può esprimere liberamente tre preferenze alla Camera e tre al Senato tra i candidati delle tre liste, non necessariamente dello stesso partito di provenienza. I più suffragati compongono le liste regionali di una lista unitaria e federata del centrosinistra che avrà, al suo interno, il peso politico delle componenti e dunque limiterà fortemente i colpi di coda parlamentari. In questa circostanza si vota anche il candidato premier.

Ovviamente i partiti potranno imporre i loro candidati e condizionare in parte la decisione degli elettori, ma in una logica competitiva per cui i candidati dotati di un consenso reale potrebbero anche cercare posto altrove e giocarsela ‘contro il partito’ che non avrà riconosciuto un peso coerente con il suo consenso. Ma nessun partito ha interesse a farsi sfilare i candidati più suffragati.

È una proposta, non ha la pretesa di essere definitiva e non è necessario che sia questa. Qualsiasi scelta in questo senso sarà funzionale a liberare energie popolari e attivare la macchina organizzativa ed elettorale. Discutiamone in questi giorni, ma decidiamo insieme, e partiamo subito.

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