Il funerale si è tenuto a Causse-et-Veyron, dove Lyse Bonnafous viveva. Ieri, senza i giornalisti: è stata la volontà della sua famiglia. Che ha chiesto discrezione, raccoglimento, silenzio. In quello stesso momento, mentre il feretro veniva accompagnato al cimitero, a una trentina di chilometri da lì, alle porte di Béziers, cittadina del Sud della Francia, spazzata dai venti del vicino Mediterraneo, studenti e professori hanno lanciato verso il cielo tanti palloncini bianchi e immacolati dal liceo Jean-Moulin, dove Lyse insegnava da una decina di anni. E dove una mattina qualunque si è immolata davanti agli allievi.

Poteva restare una notizia confinata nelle pagine di qualche quotidiano locale. L’atto di una depressa, come ce ne sono tanti. Invece il suicidio di Lyse, vittima sì di una depressione, ma anche docente in crisi nell’istruzione francese in crisi, sta scatenando reazioni a catena. Domani, in tutte le scuole secondarie del Paese, sarà osservato durante le lezioni un minuto di silenzio per ricordarla.

Cominciamo dai fatti. Giovedì scorso Lyse, che il giorno prima aveva avuto un incontro teso con i suoi studenti, ha annullato il primo corso della mattina, tra le 9 e le 10. Poi si è presentata nel cortile del liceo, che ospita oltre 3mila studenti. Era il momento della ricreazione. Freddamente si è cosparsa di benzina. Prima di accendere un fiammifero, avrebbe detto rivolta a un gruppo di allievi: “Lo faccio per causa vostra”.

Torcia umana, ha iniziato a correre fra colleghi e allievi. Urla, pianti. Alcuni hanno cercato di soccorrerla. In una decina di minuti sono arrivati i pompieri. “Era cosciente, ci parlava – ha detto uno di loro – ma non ha spiegato il suo gesto”. In elicottero è stata trasportata all’ospedale di Montpellier, lì è morta il giorno dopo. Da allora tutti al liceo Jean-Moulin sono sotto choc, tanto che le lezioni non sono ancora ricominciate. E probabilmente non riprenderanno fino agli inizi di novembre. “Pensiamo fortemente a te, Lyse”, hanno scritto in un documento comune i suoi colleghi.

Perché l’ha fatto? Progressivamente stanno emergendo diversi elementi su questa signora discreta di 44 anni. La sua depressione, apparentemente, era stata scatenata nel 2010 dalla morte per un cancro di uno dei nipoti, un bambino di otto anni, al quale era molto legata. Era seguita da uno specialista. E a scuola il suo orario era stato ridotto. Ma c’è dell’altro. Al liceo raccontano che madame Bonnafous era una prof all’antica, troppo esigente: non capiva che i tempi erano cambiati.

Ma Lyse ormai non era più rispettata come un tempo. “Nel corso degli anni abbiamo visto la nostra professione cambiare – ha spiegato una sua collega – intanto anche il nostro pubblico cambiava. Le riforme arrivavano, una dietro l’altra, spesso necessarie, ma realizzate un tanto al chilo, nell’urgenza. A un certo momento si può commettere un gesto del genere”.

Il suicidio di Lyse ha provocato un dibattito sulla crisi della scuola e le difficoltà del mestiere dell’insegnante, fra gli atti di violenza (spesso a scapito dei professori, soprattutto nelle periferie) e i sempre più numerosi docenti che abbandonano una professione fino a poco tempo fa attraente perché considerata un posto sicuro. I sindacati hanno chiesto al ministero di istituire un servizio di medicina del lavoro all’interno della pubblica istruzione. Intanto oggi pomeriggio a Béziers si tiene una marcia silenziosa per ricordare Lyse. Mentre domani è prevista una manifestazione dinanzi al provveditorato di Montpellier.

In tanti adesso puntano il dito sui tagli voluti da Nicolas Sarkozy nella scuola e nella funzione pubblica in generale. A cominciare dalla regola per cui ogni due lavoratori che se ne vanno in pensione, solo uno viene sostituito. E così quest’anno 33mila docenti sono stati pensionati e solo 17mila assunti. Intanto, già dall’anno scorso, gli insegnanti “stagiaires”, i neoassunti, appena laureati (fino al 2010 era sufficiente una laurea breve, da allora invece il master), senza alcuna preparazione pratica, vengono immessi a tempo pieno nel lavoro e non più part-time come prima, per permettere la loro formazione (questa avviene adesso durante il primo anno, una cinquantina di ore, in più rispetto a quelle di insegnamento).

La scuola francese resta in ritardo anche nell’integrazione dei portatori di handicap. Il loro numero sta aumentando (solo nel 2005 è passata una legge che impone la loro scolarizzazione) ma restano appena 60mila (130mila in Italia) quelli presenti nelle aule, per la mancanza di insegnanti di sostegno (auxiliaires), che, fra l’altro, sono praticamente tutti precari, ammessi a questo lavoro anche solo con la maturità e una ridotta formazione iniziale.

Se si vuole dare davvero un’idea del discredito della professione in Francia, basta dare un’occhiata ai dati relativi ai concorsi per l’abilitazione. I candidati per la scuola elementare sono passati da 18.136 a 18.734 quest’anno. Ma nel frattempo il numero dei posti disponibili è cresciuto per cui l’anno scorso ci sono stati sei candidati per ogni posto, ma solo quattro quest’anno. Il dato più preoccupante riguarda le abilitazioni per la scuola secondaria, dove più forti sono i problemi di disciplina: si è scesi da quota 35mila candidati a 21mila. Nel caso della matematica il numero dei posti a concorso era lo stesso di chi vi ambiva: sono stati promossi tutti. E questo nonostante la crisi economica (anche se il salario netto previsto per chi lavora a tempo pieno è di 1.500 euro, una miseria per chi vive a Parigi o nelle maggiori città) e malgrado l’aumento della disoccupazione. Il malessere esiste. E molti oggi dicono: la tragedia di Lyse non è casuale.

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