La politica è morta. Franco Bifo Berardi, il leader del movimento del Settantasette che rischiò l’arresto per istigazione all’odio di classe a mezzo radiofonico (colpiva via etere usando le parole, insomma), oggi intellettuale e docente corteggiato da tutte le università del mondo, è categorico analizzando i motivi per i quali domani, a Roma, gli indignati manifesteranno. E se non esclude una “reazione rabbiosa” contro i giovani in corteo tale da richiamare le tinte foschissime che calarono nel luglio 2001 su Genova, avverte che il pericolo sta altrove: illudersi che gli strumenti della democrazia rappresentativa funzionino ancora. Non è così, per lui, solo pochi “disperati” ancora si affidano ai partiti, compresi – o a iniziare da – quelli di centro sinistra. E chiama a una riscossa: “Siate autonomi, riprendetevi la vostra vita”.

Gli indignati non parlano più con la politica, ma affrontano il mondo della finanza. Perché c’è questo salto rispetto alla generazione precedente?

“Perché la politica non esiste più. In epoca moderna ha rappresentato la capacità di decidere di processi importanti – economici, sociali e così via – in modi talvolta democratici e talvolta no. Oggi questa capacità non è più all’ordine del giorno. Neppure il presidente degli Stati Uniti può decidere a proposito delle questioni che riguardano la finanza. Dunque si è aperta una fase in cui gli esseri umani vogliono riconquistare il governo della propria vita e per riuscirci devono fare fuori il capitalismo finanziario, che non si regola perché la politica non ha strumenti per farlo. Oggi nei suoi confronti vige un disprezzo talmente evidente che non c’è nemmeno bisogno di manifestarlo. E i ragazzi indignati sono un passo avanti: la politica non la disprezzano più, puntano direttamente a riprendersi la propria vita”.

I loro genitori però continuano a rivolgersi alla politica. Lo fanno per scarsa consapevolezza o per ipocrisia?

“In realtà sono pochi i genitori che continuano a rivolgersi alla politica. Per esempio quelli che votano per il Partito Democratico, a mio parere, lo fanno per disperazione. Mi spiego: queste persone non sono in grado di assumersi la responsabilità diretta della produzione, dei consumi, del territorio, dell’educazione o della sanità. Non immaginano più alcuna novità e dunque delegano a chiunque voglia occuparsene. Questo è spaventoso”.

I giovani che al contrario queste responsabilità vorrebbero assumersele, quali strumenti hanno per non farsi assorbire o disgregare come accaduto ai movimenti del dopo Genova 2001?

“Intanto io non ho nessuna autorità per parlare al posto chi si sta mobilitando. Ma ragionando direi che gli strumenti della democrazia rappresentativa sono fuori uso. Dunque si deve ricorre agli strumenti di democrazia diretta. Glielo dico in una maniera molto secca: l’azione più urgente è disarticolare il capitalismo finanziario e possono farlo per esempio gli informatici che lavorano per le banche, per le borse e per le corporation. Lo sosteniamo con un appello, quello all’esercito degli amanti e dei ‘softwaristi’, che sta girando in rete e che ho scritto con il docente e mediattivista Geert Lovink. Parliamo ai ‘produttori’, a quelli che creano le strutture tecnologiche su cui si appoggiano i grandi potentati della finanza: reagite, sabotate, vanificate. E lo stesso discorso può riproporsi in qualsiasi settore, scuola, sanità, industria”.

Rispetto a esperienze politiche del passato, dai movimenti del Settantasette fino alle istanze anti-G8, quali valori invece mantenere?

“C’è un concetto che discende dai movimenti degli anni Sessanta e Settanta e che rimane utile. Quello di autonomia. Purtroppo è una parola trasformata in sinonimo di eversione e violenza, ma andrebbe riportata al suo significato etimologico: libertà da una norma non politica, ma tecnologica, produttiva e sociale. Questa è l’eredità, se vogliamo libertaria, che ci viene dal passato. Inoltre andrebbe recuperata anche la radicalità etica, da non assimilare al moralismo, ma che porta a una consapevolezza: la vita non è cosa che si scambia con un salario”.

Quale sarebbe la reazione del sistema a questa rivoluzione dall’interno?

“Temo che i prossimi saranno anni difficili non tanto e non solo per la reazione rabbiosa dell’establishment che già c’è (si vedano le violenze su una manifestazione pacifica come Occupy Wall Street o come quelle che si potrebbero rischiare domani, a Roma). Ma ce n’è un’altra che a me fa molta paura: l’ignoranza coltivata per 30 anni dai gruppi della mafia mediatica che ha prodotto razzismo, aggressività, paranoie ed egoismi. È questo va tenuto in conto: prossimamente ci scontreremo con l’armata dell’ignoranza. La battaglia che ne conseguirà deve essere sviluppata con ironia, intelligenza e una pazienza infinita”.

Dunque al termine di questo scontro sarà ipotizzabile finalmente la fantasia al potere?

“A me l’idea della fantasia al potere non è mai piaciuta tanto perché non mi piace il potere. L’immaginazione e la fantasia devono rimanere nella vita quotidiana. Quando invece vanno al potere, vengono annullate perché a quel punto c’è Mediaset, che succhia creatività dalle menti dei professionisti della comunicazione e la trasformata in volgarità. Ciò che ci occorre, ribadisco, è la fantasia nella vita di tutti i giorni. E speriamo che questa sia la volta buona”.

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