Ieri sono stato insieme a Maurizio e Enzo davanti allo stabilimento Fiat di Termini Imerese ad un’assemblea, dopo 10 giorni di sciopero, di lavoratrici e lavoratori della Fiat e del suo indotto. Un’assemblea  partecipata e piena di emozioni ed orgoglio come solo i lavoratori metalmeccanici del sud sanno esprimere. Quella di Termini è una comunità di lavoratori e cittadini che si sente tradita dalla Fiat e da Marchionne.

Lo stabilimento Fiat di Termini apre nel 1970. In 41 anni di attività ha prodotto la vecchia 500, la 126, la Punto ed infine la y. Nel1983 con 3000 dipendenti, oggi sono 1500 i dipendenti del gruppo Fiat e 700 dell’indotto, si arrivò a produrre più di 190.000 vetture. Nel 2002 la Fiat di Morchio prova a chiudere lo stabilimento una prima volta. La fabbrica si salva grazie a una tenace lotta che coinvolge tutta la comunità Termitana e arriva anche al presidio dello stabilimento. Nell’aprile del 2008 l’ad di Fiat Marchionne firma un’intesa per produrre a Termini 220.000 nuove y, quelle che sono oggi prodotte in Polonia, lanciando il piano “Futura Termini” con tanto di magliette, gadget e opportuno logo, una trinacria rossa. Si sa! Marchionne non sottovaluta mai la comunicazione. Per realizzare il progetto si dice che si investiranno 550.000 € e si fanno 250 assunzioni avviando corsi di formazione, si acquista addirittura un capannone attiguo allo stabilimento Fiat, costo circa 6 milioni di € per collocare lì temporaneamente la vecchia lastratura mentre se ne prepara una nuova. Quella nuova y avrebbe dovuto essere lanciata nel 2009. E’ invece avvenuto ad aprile del 2011, 2 anni dopo.

Marchionne allora dichiarava che “la manodopera di Termini e capace e qualificata”. Nel dicembre 2008, solo 9 mesi dopo tutto si blocca! Improvvisamente si scoprono problemi logistici e di costo, vengono meno i finanziamenti Europei, è difficile il rapporto con gli enti locali e il governo. Si annuncia quindi la chiusura per il 1° gennaio 2012. Tutto questo pesa sulla credibilità di Fiat e sul risentimento dei lavoratori siciliani, che oggi sono circa 2200 compreso l’indotto e pesa ancor di più su Salvatore che ieri mi chiedeva dei suoi vecchi compagni delle presse di Mirafiori, lui che è sopravvissuto al 1980 trasferendosi alla Fiat Termini in riva al mare per vederla finire oggi. E così è capitato anche a Vincenzo che invece aveva lasciato Milano per scampare alla chiusura di Arese. Vecchi immigrati di ritorno, non rassegnati, che hanno acquisito dignità e diritti con il lavoro, preoccupati per il futuro dei loro figli e di un Sud a rischio di desertificazione industriale. Uniti a giovani assunti negli ultimi anni per rilanciare Termini che si ritrovano precipitati di nuovo nella precarietà senza diritti da cui pensavano di essere finalmente usciti e che, come mi ha raccontato Massimiliano, sposato da poco con un insegnante disoccupata che trova solo da fare ripetizioni private,   i figli hanno rinunciato a farli nella crisi.

Per tutti loro oggi l’incertezza industriale e di futuro con i nuovi imprenditori, la DR di Di Risio, il timore di un’agonia con una chiusura in differita magari attraverso prestanome, la richiesta di garanzie e la certezza che la Fiat di Marchionne con loro non ha rispettato un accordo, non ha mantenuto l’investimento. Futura Termini non è in Fabbrica  Italia.

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