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Muoversi e vivere a Milano

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Nel post del 28 settembre affermavo che concentrarsi esclusivamente sull’Ecopass, come si sta ancora facendo a Milano, corrisponde a dilazionare in maniera rischiosa la soluzione di uno dei problemi energetici più drammatici per una metropoli: quello di abitarla e di muoversi in essa. Da qualche decennio le amministrazioni meneghine non si sono cimentate con l’alternativa della rinuncia al veicolo individuale, ma si sono illuse che l’alternanza – frutto obbligato di mediazione tra gli interessi forti – tra giorni orribili e pause di respiro, tra targhe pari e dispari, tra veicoli che pagano e quelli che desistono, potesse fornire un limite a un consumo di spazio e all’emissione di inquinanti finiti fuori controllo. Da troppo tempo è sotto gli occhi di tutti un’incessante realizzazione di migliaia di chilometri di pedemontane e tangenziali attorno alle città lombarde. Infrastrutture pesanti che premono sulla cerchia milanese, convogliando su di essa un incontenibile traffico su ruote che non è affatto scoraggiato a rinunciare “all’ultimo miglio”. E’ il frutto di una insensata politica della mobilità prodotta da quindici anni di governo Formigoni, che ora va spezzata precludendo l’accesso all’auto individuale nella capitale della regione.

In tutti i capoluoghi di provincia viene di gran lunga superata la soglia annua di sforamenti consentita dall’Ue per le polveri sottili, che si diffondono e ristagnano sull’intera pianura. La Lombardia emette un quinto di tutta la CO2 del Paese, un quarto proveniente dal sistema dei trasporti e dai motori a combustione circolanti (5.700.000 autovetture!) per la massima parte verso il centro urbano più popolato. Il risanamento di un sistema assurdo che cresce sulle sue distorsioni e che potrebbe perfino peggiorare con i tagli al trasporto pubblico imposti dalla recente manovra di bilancio non è rinviabile. Individuare un’alternativa radicale rappresenta un compito attraente non solo per gli ambientalisti.

Progettare mobilità sostenibile vuol dire individuare soluzioni per la salute degli abitanti, ma anche dare avvio a processi d’interazione “virtuosa” tra ricerca, servizi e industria in settori di avanguardia per affrontare la crisi in corso. Basti ricordare che i settori di specializzazione produttiva assegnati alla green economy sono in crescita a due cifre in tutta Europa; hanno tassi di occupazione da 1,4 a 4 volte superiori a quelli dei settori maturi e aprono prospettive di impiego valutate in 50 mila nuovi posti di lavoro al 2015 in Lombardia.

Questo può voler dire attivare con provvedimenti di rapido effetto nicchie di mercato territorialmente circoscritte, incentrate sulle flotte di mezzi adibiti a servizi di pubblica utilità per il trasporto di merci e persone. Flotte, perché no, di produzione nazionale per le quali cominci ad essere sviluppata, anche con il sostegno comunale, una rete adeguata di impianti di ricarica di energia elettrica da rinnovabili o di distribuzione di combustibili alternativi. Vuol dire, infine, un’attenzione condivisa di amministratori e cittadini agli aspetti organizzativi della vita in comune, come regolare modalità e tempi di accesso al lavoro, alla scuola e all’educazione, alla cultura, alla ricreazione, alla fruibilità delle aree urbane. Offrendo così, in sostanza, un contributo fattivo alla politica industriale e alla riorganizzazione del tempo e dello spazio in Lombardia. Terreni, questi, di partecipazione entro i quali al cittadino e al lavoratore non si affida il mero compito di spettatore.

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