La sua storia è una buona canzone durata quarant’anni, e non c’è da meravigliarsi se anche lui ha detto basta. Non lascerà la musica, ma la tratterà come una vecchia sposa: si guarderanno a distanza, senza nessun coinvolgimento fisico e temporale. Resteranno seduti da qualche parte, forse dalle parti di Pegli o su una spiaggia del Brasile, ma senza dirsi “è il momento di tornare, dobbiamo lavorare su quello che abbiamo visto e fatto”. Andranno alla scoperta di luoghi con l’occhio distratto dei viaggiatori, con la consapevolezza che per prendere un aereo non è necessario il biglietto di ritorno o che attraversare la Terra del Fuoco può essere solo uno stato d’animo temporale, non necessariamente da ricostruire in note e versi.

Dire che Ivano Fossati, 60 anni da pochi giorni, ci ha lasciati spiazzati quando ieri sera, durante la trasmissione di Fabio Fazio, ha annunciato che Decadancing è il suo ultimo disco, è banale, ma rende bene l’idea. È un fantasista della canzone d’autore, pigro, certo, ma capace di quel colpo che solo i grandi talenti riescono a piazzare. Lo faceva John McEnroe con la sua seconda palla di servizio o Fausto Coppi che lasciava tutti con la lingua sul tubolare quando lui e il suo sterno carenato cominciavano appena a respirare, e pochi altri ancora. Ma c’è un tempo per tutto. Non che musicalmente non avesse altro da raccontare, Fossati, ma semplicemente ha spiegato di non avere più la voglia di doverlo fare per mestiere.

Ernesto Assante, uno dei più stimati critici musicali, si è affrettato a dire che ci ripenserà: è una tappa obbligata dei grandi artisti passare dalla fase di lasciarsi tutto alle spalle. Fazio, che ha raccolto la sua confessione, è stato – e forse perché aveva in mano la notizia, non lo sappiamo – più pragmatico: “Se lo dici, e io ti conosco, dobbiamo crederci”.

Qualunque cosa faccia, quelli che oggi hanno tra i 40 e i 50 anni, possono solo dirgli grazie. Ci ha accompagnati. Era con noi nelle nostre scoperte, nei nostri viaggi. Fossati era con me (e migliaia di altre persone come me) quando ho dato il primo bacio. Mi ha accompagnato in un viaggio attraverso gli Stati Uniti, coast to coast, da New York a San Francisco, con il doppio live che arrivato a destinazione dovetti riporre perché le testine si erano ingoiate il nastro. È stato con noi nell’età adulta, fatta di riflessioni, suoni sudamericani, flauti, tasti accarezzati al pianoforte con la mano sinistra.

La sua prima apparizione è datata 1972. Delirium si chiamava il suo gruppo. In quell’anno si presentarono al festival di Sanremo con la canzone di successo Jesahel, ma pochi mesi dopo Fossati lasciò la band e si mise a scrivere per gli altri. Prima Gianni Morandi. Poi Mina, come fece anni prima con La Canzone di Marinella di De André, gli fece il regalo di aprire la sua ultima serie di concerti con un pezzo suo. Stasera io qui fu uno dei brani più intensi registrati in quell’estate del 1978 al Bussoladomani e che meglio rappresentava la fine di una delle stagioni di Mina, quella delle esibizioni davanti al pubblico. Fu Beppe Grillo, amico di Fossati, a far ascoltare a Mina i brani di quello che allora era un autore sconosciuto al grande pubblico. Fu decisamente quello che nella vita sono i treni che passano una sola volta.

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