Avere un centro pubblico per la procreazione medicalmente assistita (pma) all’avanguardia e non poterlo utilizzare. Tutto perché si trova nell’unica regione italiana che ancora non ha emanato le autorizzazioni ai centri per l’applicazione di tecniche di pma come previsto dalla legge 40/2004. E’ questo lo strano caso del Centro per la fisiopatologia della riproduzione umana dell’ospedale S. Andrea di Roma-Università La Sapienza, inaugurato nel 2009 e sostanzialmente mai utilizzato al pieno delle sue possibilità.

Presentato in pompa magna il 28 gennaio 2009, alla presenza del rettore della Sapienza Luigi Frati, del preside della II Facoltà di Medicina della Sapienza Vincenzo Ziparo, e con la benedizione di Monsignor Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, doveva essere il centro pubblico di procreazione medicalmente assistita con i controfiocchi e all’avanguardia del Lazio, il primo in Italia dove poter effettuare la diagnosi pre-concepimento direttamente sull’ovocita. Una tecnica sviluppata nel nostro Paese proprio per superare il divieto imposto dalla legge 40 di fare la diagnosi pre-impianto sugli embrioni, e al tempo stesso offrire alle coppie questa possibilità, che non pone gli stessi problemi morali ed etici sollevati dalle gerarchie cattoliche sugli embrioni.

Ma l’attività del reparto è stata subito bloccata a causa di un esposto fatto ai Nas, si dice da un medico di un centro privato. Dopo i controlli, che non hanno rilevato alcuna irregolarità, si è atteso il nuovo via ufficiale da parte della Regione. Che però non è mai arrivato, nonostante i solleciti da parte dell’azienda ospedaliera, perché la Regione ha rimandato tutto a un tavolo tecnico per la valutazione generale dei centri per la procreazione, mai partito.

Risultato: il Centro non ha mai iniziato l’attività di procreazione medicalmente assistita con le tecniche della fecondazione in vitro e l’icsi (tecnica con cui lo spermatozoo viene iniettato direttamente all’interno dell’ovocita). Esegue solo gli interventi di I livello, come diagnosi e terapia per le patologie della sterilità. In altre parole un reparto nuovo di zecca e all’avanguardia è impiegato per altre funzioni, ma i costosi macchinari ad hoc, costati centinaia di migliaia di euro, sono inutilizzati o sottoulizzati da oltre due anni. Il massimo della beffa si è prodotto lo scorso marzo, quando il reparto è stato utilizzato sì, ma dagli attori della fiction ‘Don Matteo’ che l’hanno scelto come set cinematografico per girarvi delle scene.

Il Lazio, come detto, è l’unica Regione che ancora non ha emanato le autorizzazioni dei centri per l’applicazione di tecniche di pma sulla base della legge 40/2004. “Nel 2004 i presidenti delle Regioni hanno preso un accordo, non vincolante – spiega il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella – sui requisiti da stabilire e le conseguenti autorizzazioni ai centri di pma. Ma ogni Regione aveva poi ampia autonomia o di usare i requisiti previsti da questo accordo o di stabilirne altri con una propria delibera. La regione Lazio non l’ha mai fatto, anche se il presidente Polverini sta cercando di risolvere il problema”. Di fatto, quindi, i centri di procreazione assistita del Lazio hanno operato finora senza l’autorizzazione della Regione.

Gli altri centri, anche quelli privati nuovi, hanno continuato a operare fino a ora utilizzando quello che si potrebbe definire un meccanismo di ‘silenzio-assenso’. Dopo aver inviato la loro richiesta di autorizzazione e tutta la documentazione per dimostrare di essere in regola, non avendo ricevuto risposte contrarie dalla Regione, lo hanno interpretato come un sì ad operare. Ma i dirigenti del S. Andrea, essendo una struttura pubblica, e quindi finanziata con i soldi dei contribuenti, in una Regione tra l’altro sottoposta a piani di rientro, non hanno voluto prendersi questo rischio e hanno deciso di aspettare il via libera ufficiale dell’amministrazione regionale.

“Il problema – spiega Massimo Moscarini, direttore del dipartimento Ginecologia del S. Andrea, nonché direttore del centro – sta in parte nella Regione, che non forma la commissione né ha la competenza su materie così tecniche. Senza contare che certo non è una delle sue priorità in questo momento. E soprattutto nessuno ha interesse a far funzionare, e bene, un centro pubblico”. Sui 53 centri di procreazione medicalmente assistita presenti nel Lazio, solo 7 sono pubblici e poi ce ne sono altri 4 privati convenzionati. “Ma molte delle strutture pubbliche – continua Moscarini – funzionano poco, nel senso che non offrono tutti i tipi di trattamenti, e hanno liste d’attesa lunghe. Quindi o si va dai privati, o in altre regioni. Io per esempio mando molte mie pazienti ai centri convenzionati della Toscana”.

Nel frattempo il ministero della Salute ha fatto sapere, per bocca del suo sottosegretario Roccella, “che la Regione si è impegnata a sbloccare la situazione entro l’estate”. Ma “sono anni che lo dicono”, chiosa amaro Moscarini. Bisogna dunque aspettare. Tanto per cambiare.

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