L’industria della morte messa in piedi dal regime iraniano sta funzionando a pieno ritmo, con una media record di due esecuzioni al giorno da inizio anno. Le associazioni per i diritti umani impegnate nel Paese denunciano quelli che, finora, sono stati i sei mesi più sanguinari della Repubblica islamica. Una drammatica escalation di repressione, iniziata dopo le proteste post-elettorali del 2009, che si è inasprita dall’inizio del 2011 in un tentativo di arginare le massicce proteste che dal Nordafrica minacciano di espandersi in tutto il Medio Oriente.

Secondo dati di Amnesty International confermati dalle autorità iraniane, le esecuzioni, da gennaio a giugno 2011, sono state 190. Questi però sono solo i dati ufficiali. Amnesty denuncia, infatti, che almeno altre 130 persone sarebbero state giustiziate in segreto.

Altre associazioni avvertono che i numeri reali potrebbero essere anche più elevati. Secondo le stime di Iran Human Rights, Ong con sede in Norvegia, i morti negli ultimi sei mesi potrebbero arrivare anche a 390. Anche il numero delle impiccagioni pubbliche viene dato in aumento. Amnesty ha registrato almeno 13 uomini impiccati nelle piazze del Paese tra il primo gennaio e il 27 aprile: un aumento vertiginoso rispetto alle 14 avvenute in tutto il 2010. Tra le 13 vittime ci sarebbero anche due 17ennni, identificati solamente con le sigle A.N. e H.B., accusati di stupro e omicidio e giustiziati in una provincia del sud del Paese.

“L’Iran si è distinto ancora una volta per essere l’unico stato ad aver giustiziato minorenni ritenuti autori di reati – ha detto Hassiba Hadj Sahraoui, vice direttore del programma per l’Africa e il Medio Oriente di Amnesty International – E per di più in pubblico. Le esecuzioni pubbliche non sono solo una violazione del diritto alla vita, ma anche un terribile affronto alla dignità umana che non può essere tollerato”.

Amnesty e altre Ong – che hanno seguito con attenzione l’evoluzione della macchina di morte del regime del presidente Mahmoud Ahmadinejad – denunciano come le autorità abbiano dato inizio a una massiccia opera di rastrellamento all’interno delle prigioni statali in tutte le province del Paese, giustiziando segretamente un elevato quanto imprecisato numero di persone.

“L’aumento vertiginoso delle esecuzioni in Iran è la prova che lo Stato non ha alcuna esitazione a usare la violenza in modo anche molto esteso e totalmente arbitrario per mantenere il potere”, ha detto Hadi Ghaemi, direttore dell’Ong americana International Campaign for Human Rights in Iran (ICHRI). Secondo Ghaemi, l’uso delle pene capitali serve soprattutto al regime come strumento di prevenzione per evitare una crescita incontrollata del malcontento popolare in occasione del secondo anniversario delle proteste del 2009 (dopo le elezioni che assicurarono ad Ahmadinejad un secondo turno al governo).

Nel 2010, le esecuzioni ufficiali sono state 253  di cui 170 per reati di droga. Diverse associazioni, come Iran Human Rights, affermano però che ai numeri confermati dal regime andrebbero aggiunte altre 300 morti invisibili. Per le autorità, la maggioranza delle pene capitali sono in relazione al traffico di stupefacenti, un business di cui stati come Iran e il vicino Afghanistan sono ai primissimi posti come produttori ed esportatori mondiali.

Le opposizioni sono di avviso ben diverso. La lotta al traffico di stupefacenti sarebbe solo una cortina di fumo usata per nascondere la repressione del dissenso. Iran Human Rights ha denunciato un’esecuzione di massa di 25 persone segretamente giustiziate la scorsa domenica nella prigione di Ghezel Hesar a Karaj, cittadina ad ovest di Teheran. Alcuni dei condannati sarebbero stati identificati come attivisti politici. Un’altra esecuzione di 26 persone, avvenuta il 15 giugno nel carcere di Vakilabad, è stata denunciata la settimana scorsa dall’ICHRI. Ma il governo è irremovibile: erano tutti trafficanti.

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