Raffaello, "Madonna di Foligno", 1511-1512

di Tomaso Montanari

Tra qualche settimana, un’opera celeberrima di Raffaello, la Madonna di Foligno, lascerà eccezionalmente i Musei Vaticani per essere trasportata in Germania in occasione della visita apostolica di Benedetto XVI. Il dipinto verrà esposto presso i Musei Statali di Dresda, al cospetto della Madonna Sistina dello stesso Raffaello e di altre tre Madonne di tre giganti della pittura tedesca (Albrecht Dürer, Mathias Grünewald e Lukas Cranach il Vecchio): ed è da tutto questo ben di Dio che si diffonderà lo «Splendore celeste» che dà il titolo alla mostra.

La notizia lascia interdetti per diversi motivi. Innanzitutto, la Madonna di Foligno è una pala d’altare alta oltre tre metri, è una tavola trasferita su tela due secoli fa e non gode di una “salute” perfetta: per questo motivo, e per la sua enorme importanza storico-artistica dovrebbe essere un’opera inamovibile dal museo dove migliaia di visitatori la cercano ogni giorno. In secondo luogo, l’opera non si muove per un’occasione scientificamente e didatticamente importante: come sarebbe, ad esempio, una mostra monografica di Raffaello. L’incontro con la Madonna Sistina viene presentato come una rievocazione della compresenza delle due opere nell’atelier del maestro nel 1511: forse una suggestione romantica, ma non certo un atto critico sufficiente a motivare lo spostamento. E verrebbe da esclamare (con Quatremère de Quincy, 1796): «Di questo Raffaello, del quale si bramano i dipinti più per superstizione e vanità che per gusto e per amore del bello, quanto pochi conoscono il valore del suo genio!».

Non c’è, tuttavia, da stupirsi troppo, perché «chilometri e chilometri sopra le nostre teste, gli aerei sfrecciano carichi di quadri di Tiziano e Poussin, Van Dyck e Goya», come constatava mestamente Francis Haskell. Nessuno ha saputo fare “meglio” di Mussolini che nel 1930 spedì a Londra in una botta sola il David di Donatello, il Dittico dei Montefeltro e la Flagellazione di Piero della Francesca, la Venere di Botticelli, la Tempesta di Giorgione, e altri cinquecento pezzi analoghi. Ma oggi l’Italia si è trasformata in una sorta di gigantesco postalmarket del capolavoro da spedizione, come se la rovinosa caduta della credibilità politica, diplomatica ed economica del Paese potesse esser riscattata dalla concessione di questi capolavori-a-chiamata, ridotti a vere e proprie escort artistiche.

Tutto si risolve nell’enfasi emotiva dello spostamento eccezionale: che non è il mezzo, ma il fine stesso di questi eventi che giovano quasi solo a chi li organizza. E stupisce che papa Ratzinger, così attento a prendere le distanze dalle mode mediatico-culturali, sia stato coinvolto nel pensiero unico italiano del “moto perpetuo del capolavoro”: spedendo in Germania Raffaello, il sommo pontefice si assimila (incredibile dictu) all’assessore alla cultura della Regione Sicilia, che spedisce in Russia Caravaggio (vedi sotto). Ma forse il papa non c’entra, e la spiegazione va più semplicemente cercata nell’identità del direttore dei Musei Vaticani: quell’Antonio Paolucci che già nel 2000 si autodefiniva il «movimentatore massimo» delle opere d’arte italiane.

Una forte aura di esplicita propaganda religiosa permea, fin dal retoricissimo titolo, l’operazione Splendore celeste: il papa porta in Germania una preziosa icona mariana, che viene riunita ad altre analoghe immagini sacre. Anche su questo fronte, tuttavia, niente di nuovo: negli ultimi tempi si è registrata una decisa propensione della gerarchia cattolica verso l’organizzazione di mostre “confessionali”. Tra i tantissimi esempi si può citare la mostra sul Potere e la Grazia tenutasi a Roma tra 2009 e 2010, che non aveva il minimo valore scientifico, e ostentava una connotazione pastorale e proselitistica che non le impedì di godere di prestiti davvero straordinari (tra cui il San Giorgio dell’Accademia di Venezia, negato invece all’importante mostra monografica di Mantegna al Louvre). Ma anche se Splendore celeste è un’ovvia incarnazione dello spirito del nostro tempo, è impossibile non rattristarsi pensando che cinquecento anni fa un papa poteva “produrre” un Raffaello, mentre oggi può al massimo “movimentarlo”: rischiando, semmai, di distruggerlo.

Splendore Celeste. Raffaello, Dürer e Grünewald dipingono la Madonna, Dresda, Staatliche Kunstsammlungen, dal 6 settembre all’8 gennaio 2012.

Altri casi di capolavori esportati a fini “propagandistici”

Dopo il clamoroso decollo dell’Annunciazione di Leonardo (volata da Firenze a Tokyo nella primavera del 2007) e prima che qualche solerte ministro riesca a spedire a Sydney i Bronzi di Riace, cosa sta rullando nei corridoi dei musei italiani, trasformati in altrettante piste aeroportuali? Secondo autorevoli indiscrezioni provenienti dal ventre del Ministero per i Beni culturali, una Fondazione di studi religiosi starebbe organizzando uno «scambio di capolavori dell’arte e della fede tra Mosca e Firenze». La Galleria Tretyakov presterebbe il Salvatore di Andreij Rublev, e in cambio Firenze dovrebbe spedire in Russia un’opera del padre dell’arte italiana: Giotto. In un primo momento era stata chiesta la grande Croce di Ognissanti (4 metri e 70!), appena restaurata e ricollocata. Il progetto si sarebbe arenato dopo che l’Opificio delle Pietre Dure ha certificato che lo spostamento comporterebbe «rischi gravissimi». Ora si stanno esaminando altri candidati, e si considera l’ipotesi di sbarbare dall’altar maggiore di San Felice in Piazza un’altra croce giottesca: meno bella e importante, forse, ma sempre grandicella (4 metri e 30), e dunque fragile. Sempre a Mosca dovrebbe presto finire la Natività di Caravaggio del Museo Regionale di Messina. Nonostante che la stessa Regione Sicilia l’abbia inserita nell’elenco delle opere inamovibili, e nonostante l’opposizione dei funzionari e degli storici dell’arte universitari (recentissima la pubblica protesta di Luigi Hyerace), la grande tela è in moto perpetuo: solo negli ultimi sei anni è stata a Napoli, Londra, Milano, Trapani (!), Palermo (due volte), Salemi (!!) e Roma. Ma niente paura: pare che, per non far sentire solo Caravaggio, la Regione Sicilia invierà a Mosca anche un Antonello da Messina. Quando si dice la sensibilità.

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