Mentre la Germania ha appena dichiarato la chiusura irrevocabile del proprio programma nucleare, mentre in Giappone si prevedono fino a 400mila casi di cancro nei prossimi 50 anni per la catastrofe di Fukushima, mentre in Italia si aspetta di conoscere l’esito del referendum dei prossimi 12 e 13 giugno, in Irlanda il problema dell’energia atomica non si pone nemmeno.

La “verde Irlanda” non ha mai avuto un programma nucleare. Anzi, assieme a Portogallo, Austria, Norvegia, Grecia, Danimarca e Lussemburgo si è schierata apertamente contro questa fonte di energia, preferendo puntare, fin da tempi non sospetti, sulle fonti rinnovabili.

Se il primo impianto eolico del paese risale al 1991, è dal 2002 che il governo ha fondato l’Authority per l’Energia Sostenibile, la SEAI, che si occupa da allora di trasformare l’Irlanda in una società basata interamente sulla sostenibilità ambientale ed energetica. Gli obiettivi sono chiari: così come nelle microelettronica e nei settori della ricerca scientifica avanzata, l’Irlanda vuole diventare “un riconosciuto leader globale” nel settore delle rinnovabili, raggiungere il 100% della produzione di energie pulite sul proprio territorio, ottimizzare la distribuzione e i consumi, arrivare a esportare il surplus e lanciarsi poi nella riconversione dei trasporti a base di energia elettrica.

Puntando a tali obiettivi, negli ultimi dieci anni sono stati fatti molti passi avanti: nel 2010 le fattorie eoliche hanno prodotto oltre il 10% del fabbisogno energetico nazionale, con l’obiettivo di raggiungere il 40% nel 2020. Più indietro rimangono le fonti solari e quelle geotermiche, ma un grande slancio hanno gli studi sulle possibilità di sfruttamento degli impianti oceanici, considerati assieme all’eolico la grande risorsa del paese. Nella base navale di Haulbowline, il governo e gli istituti scientifici del paese stanno realizzando infatti il più grande centro di ricerca del mondo sull’energia oceanica, con l’obiettivo ufficialmente dichiarato di installare in vent’anni oltre 250 postazioni di produzione energetica in mare aperto, arrivando a produrre 500 MW di energia e dando lavoro a 50.000 persone.

Le operazioni di riconversione del paese toccano anche la riduzione degli sprechi: ogni anno decrescono in maniera consistente i consumi di cittadini, industrie, servizi e trasporti e si riducono di importanti percentuali le emissioni inquinanti di CO2 correlate alla produzione di energia.

Anche il governo appena insediatosi continua su questa linea, con il supporto confermato alle energie geotermiche, marine ed eoliche, il miglioramento del sistema di tassazione e di incentivi ai cittadini che supportano i diversi programmi di “energia verde”, nonché con il sostegno alla produzione di energia “casalinga” urbana e rurale, migliorando il sistema di inserimento dell’energia prodotta nella rete elettrica del paese.

Insomma, attraverso la riduzione dei consumi e degli sprechi, l’abbandono progressivo delle energie fossili e lo sviluppo delle energie sostenibili, l’Irlanda vuole diventare (citando testualmente) “l’Arabia Saudita delle energie rinnovabili”.

È utopia? Sono chiacchiere da governanti? Eppure, a parte la tempistica e le cifre, la direzione appare a molti quella giusta, per guardare a un futuro energetico davvero concreto e sostenibile.

Mauro Longo, giornalista freelance in Irlanda

Articolo Precedente

La difficile coerenza dell’ambientalista

next
Articolo Successivo

Londra 2012, le “olimpiadi ecologiste”
verso il flop

next