Una mossa spiazzante, in una battaglia senza tregua: appassionante come un romanzo epico, dura come un combattimento gladiatorio, sofisticata come un saggio marziale di Sun Zu. Insomma: Marchionne e Landini continuano a studiarsi, sul ring di “Fabbrica Italia”, come due pugili che non mollano fino all’ultima ripresa.

L’ad della Fiat aveva avuto un colpo di genio: inventarsi un voto sul contratto anche nello stabilimento in cui la Cgil ha (da sola) la maggioranza assoluta. E scegliendo bene il terreno di gioco, visto che alla Bertone, dopo il fallimento della vecchia proprietà, gli operai (che nelle ultime commesse avevano lavorato per le serie a tiratura limitata della Bmw) erano costretti da sei anni a stare fuori dalla loro fabbrica. Insomma, la Fiom, che si presumeva costretta al “No”, sarebbe finita nell’angolo, costretta ad assumersi la responsabilità della chiusura. Invece, giunta alla quarta ripresa, la Fiom spiazza tutti e cambia passo: fino ad oggi aveva pronunciato tre “No” controcorrente e granitici (a Termini Imerese, a Pomigliano e Mirafiori) misurando i suoi muscoli e mettendo a dura prova, contro tutto e tutti (persino contro il parere della segretaria della Cgil, Susanna Camusso), il proprio consenso e il suo radicamento. Invece adesso, un autentico colpo di scena.

Le tute blu Fiom, dopo una assemblea al cardiopalma, ricorrono a una astuzia odissiaca: continuano a denunciare il carattere ricattatorio del “contratto-Mirafiori” ma danno indicazione di votare “Sì” al referendum, per rimettere il cerino in mano alla Fiat. La società di Marchionne sarà costretta a confermare gli investimenti promessi e a rispettare la rappresentanza degli uomini della Cgil, e –anche se, sulla carta, strappa la flessibilità assoluta – non potrà mai applicarla fino in fondo, perchè i processi di lavorazione delle auto di lusso non consentono il taglio dei tempi alla catena. Insomma, a una grande trovata tattica di Marchionne (provocare l’avversario, scomettere su un riflesso condizionato, schiacciarlo sul terreno dell’ideologia), Landini e Airaudo rispondono facendo esattamente l’opposto: zero ideologia, massimo del pragmatismo.

Una scommessa difficile: riuscirà la Cgil a incanalare la rabbia operaia che era esplosa solo il 25 febbraio davanti ai cancelli? Mistero. Ma il sindacato che era accusato di massimalismo, di non firmare i contratti, e di “saper dire solo no”, ora si godrà lo spettacolo di essere attaccato da destra e da sinistra perchè dice “Sì”. In fondo – se il consenso reggerà anche stavolta – anche questo è un modo per portare la classe operaia in paradiso.

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