Un fiore in ricordo delle vittime dello stabilimento Eternit a Casale Monferrato. Nella giornata mondiale in memoria delle vittime dell’amianto, giovedì circa duemila persone hanno marciato nella cittadina piemontese per portare un fiore bianco nell’area dove sorgeva il cementificio. In futuro lì, in via Oggero, sorgerà il parco “Eternot”, a memoria di tutto ciò che hanno passato gli abitanti di Casale: più di 1700 vittime per le malattie causate dall’asbesto e circa 500 persone malate ancora oggi. E se da una parte c’è speranza negli esiti del processo in corso a Torino, dall’altra ci si impegna affinché anche in altri Stati si possa arrivare alla messa al bando di questo materiale cancerogeno.

Se a quei mali non c’è cura, un sollievo è rappresentato dalla giustizia. Dopo la sentenza della Thyssenkrupp, a cui alcuni casalesi hanno assistito dal vivo, c’è un clima positivo. “Checché se ne dica, per noi è stata molto importante e ci ha dato molta speranza”, dice Romana Blasotti Pavesi, la “Erin Brockovich” di Casale. Sebbene abbia molti anni e la sua famiglia sia stata segnata da cinque lutti per colpa dell’amianto (leggi il ritratto), lei anima ancora la battaglia pacifica contro l’amianto e non manca a un’udienza del processo contro gli ex proprietari, il barone belga Jean-Louis De Cartier De Marchienne e lo svizzero Stephan Schmidheiny.

“La sentenza ci sta incoraggiando molto – afferma Bruno Pesce, coordinatore dell’Associazione vittime dell’amianto -. Lì è stato riconosciuto il dolo e nel nostro processo il reato contestato è disastro ambientale doloso permanente. Da quanto è emerso dall’indagine di Raffaele Guariniello, dalle testimonianze e dalle perizie, i vertici dell’Eternit sapevano cosa combinavano”. Resta un risvolto tragico: nonostante le bonifiche in corso dagli anni Novanta a Casale e nell’area circostante, le persone continuano ad ammalarsi e morire. Basta respirare una quantità minima di polvere: la si cova anche per anni, il cosiddetto periodo di latenza, e poi sopraggiunge l’asbestosi o il mesotelioma: “Persistono le cause, e non solo gli effetti. Per questo il disastro è permanente”, spiega il coordinatore dell’associazione. A giugno, dopo una pausa, comincerà l’ultima fase del processo al tribunale di Torino con la requisitoria di Guariniello e dei sostituti procuratori Gianfranco Colace e Sara Panelli, mentre per settembre si aspetta la sentenza.

Nell’attesa i casalesi cercano di condividere le loro esperienze con gli attivisti europei, americani e indiani, arrivati fino in Italia per partecipare alla manifestazione giovedì. “C’è stato un convegno internazionale sulla situazione dei vari paesi in cui ancora si lotta per la messa al bando dell’amianto, o in cui si cercano soluzioni per le bonifiche, per la sanità, per la giustizia, per il futuro”, spiega Pesce. All’estero l’Eternit continua ad agire così come faceva a Casale Monferrato, Bagnoli (Na), Rubiera (Re) e Cavagnolo (To): “Abbiamo visto che in India o in Brasile questo smaltimento illegale degli scarti va avanti”.

Il polverino viene dato alla gente per lavori nelle case e nei luoghi pubblici, coibentare i soffitti, coprire marciapiedi e altro, proprio come avveniva in Italia. “C’è una forte resistenza alla messa al bando di una fibra mortale per colpa del profitto”, spiega Niccolò Bruna che, con Andrea Prandstraller, ha realizzato per Arté e la Rete svizzera italiana il documentario “Polvere. Il grande processo all’amianto”, presentato in anteprima giovedì sera. “Partendo dal processo di Torino abbiamo raccontato la storia dell’Eternit di Casale descrivendo la produzione dell’amianto in Brasile e India, dove è in aumento”. In questi Stati la lobby dei produttori d’amianto ha la meglio sulle proteste, spiega Bruna: “Purtroppo l’esperienza italiana è un’eredità non facile da raccogliere”.

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