Il direttore generale della Rai, Mauro Masi

Il direttore generale della Rai, Mauro Masi, ha querelato il Fatto quotidiano. “In merito all’ennesimo articolo contenente notizie false e assolutamente tendenziose (peraltro ultimo di una lunga serie facente parte di una campagna denigratoria anche sulla mia vita privata) apparso questa mattina sul quotidiano Il Fatto a firma Marco Lillo“, scrive Masi in una nota della Rai, fatto anomalo, visto che nella querela parla soprattutto di vita privata, “il direttore generale ha dato mandato ad un pool di legali di procedere nei confronti degli autori degli articoli, del direttore responsabile della testata e della societa’ editrice, per diffamazione aggravata e per stalking”.

Ecco la replica del nostro giornale al manager Rai

Il direttore generale della Rai, Mauro Masi, annuncia di aver fatto denuncia per stalking nei confronti del nostro quotidiano che ha l’unico scopo di porre una spada di Damocle sul nostro lavoro. Possiamo rassicurare i lettori che, a partire da domani, pubblicheremo ancora articoli con interviste e notizie inedite sulle vicende che riguardano Masi. Come al solito, continueremo serenamente a fare il nostro dovere di cronisti e non ci faremo intimidire.

Però è necessario spiegare meglio la strategia legale del direttore generale della Rai per far comprendere ai lettori meglio quello che sta accadendo.

Lo stalking è punito dalla legge con la galera da sei mesi a 4 anni perché è un reato grave introdotto due anni fa nel codice per sanzionare i comportamenti persecutori e pericolosi.

Masi di fatto ci equipara con il suo comunicato a “chiunque reiteratamente, con qualunque mezzo, minaccia o molesta taluno in modo tale da infliggergli un grave disagio psichico ovvero da determinare un giustificato timore per la sicurezza personale propria o di una persona vicina o comunque da pregiudicare in maniera rilevante il suo modo di vivere”.

Ovviamente né gli articoli né le telefonate a Masi precedenti al pezzo avevano nulla a che fare con un simile comportamento.

Come è evidente Il Fatto non ha commesso alcuno stalking ma ha svolto il suo dovere di informare il pubblico. Se abbiamo contattato Masi prima dell’articolo con telefonate ed sms cortesi (che abbiamo registrato e che sono a disposizione della magistratura) è solo per avere la sua versione dei fatti. Sulla carta dei doveri del giornalista c’è scritto che:

Il giornalista non deve dare notizia di accuse che possano danneggiare la reputazione e la dignità di una persona senza garantire opportunità di replica all’accusato. Nel caso in cui ciò sia impossibile (perché il diretto interessato risulta irreperibile o non intende replicare), ne informa il pubblico.

Sentire Masi non era solo un nostro diritto ma anche un nostro dovere.

Il direttore generale della Rai, peraltro, ci ha sempre risposto e ha accettato di parlare salvo poi cambiare tono e attaccare ogni volta che gli si ponevano domande imbarazzanti.

All’esito di un lungo lavoro di inchiesta autonomo, che ha talvolta smentito le conclusioni errate degli stessi investigatori, Il Fatto Quotidiano ha scritto ieri un articolo documentato che non è stato smentito né da Masi, né dalla RAI, né da alcun altro soggetto coinvolto e citato nel pezzo. Semplicemente perché tutti i fatti narrati sono tveri. Masi non poteva smentire né le sue intercettazioni telefoniche con Angelo Balducci nelle quali concordava il sopralluogo dell’operaio di Diego Anemone a Capri, né il preliminare di acquisto firmato dalla sua compagna di allora, Susanna Smit, con Umberto Mattone per 2,3 milioni di euro, né la risoluzione successiva di un anno, né l’ottenimento della promessa da parte di Mattone di restituire 100 mila euro alla ex compagna, né l’esistenza di una fiction inserita dalla Rai nel piano di produzione e basata su un soggetto di Mattone ispirato alla sua biografia.

A corto di argomenti, Masi ha deciso, come si dice a Roma e dintorni, di “buttarla in caciara”.

Grazie al suo comunicato le agenzie di stampa non si sono concentrate sui fatti narrati (la villa, la fiction, ecc…) ma sulla reazione del manager Rai. Ed è molto grave che il manager posto alla guida della principale società culturale del paese, un’azienda pubblica sottoposta al controllo del Parlamento e pagata dal canone dei cittadini, possa impunemente reagire così alla pubblicazione di un articolo che narra una storia vera sulla quale Masi dovrebbe rendere conto all’opinione pubblica.

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