Ho sognato. Ho sognato come chiudere questa ventennale guerra. Guerra che non ci ha mai visti vincitori ma nemmeno sconfitti. Voi che mi siete compagni, fratelli, amici, ascoltatemi e fidatevi, ho un’idea! So bene che qualcuno si ricorderà la fatica spesa per coinvolgermi in questo conflitto da cui sarei sinceramente voluto stare lontano. So bene che qualcuno si ricorderà che mi finsi sordo ai vostri appelli e che aggiungevo parole dissennate a parole dissennate per suggerirmi e suggerirvi realtà diverse dalla responsabilità di dover partire con voi.

D’altronde lasciavamo incolti i campi sarchiati, arati e pronti alla semina. L’uva sulle vigne e gli agi delle nostre case amate. Non più il tranquillo e rassicurante esercizio di opere quotidiane conosciute, ma il precipizio dell’inaspettato Fato che ti mostra la rapidità di una vita intera in uno scoccare di freccia, che ti fa oggi arciere e domani bersaglio.

Dove Achille e Patroclo hanno fallito nessun uomo può pensare di onorare il successo. Dunque è forse agli Dei che dobbiamo sacrificare qualcosa perché altrimenti mai torneranno a essere benigni? Rivolgiamoci non speranzosi a loro ma con l’intima certezza della bellezza dei loro perché. E che tutto questo ci venga in soccorso.

Dobbiamo chiedere a Zeus la luminosità del fulmine, luminosità che riporti alleanza e pace tra tutti gli Dei e le loro umane complicazioni, facendoci alleati di Afrodite e di suo figlio Eros, di Apollo e di Estia, della Luna e di Artemide. Che Ares si faccia amico di Era e che Poseidone si rinnamori di Demetra e della terra coltivata. Per giungere infine ad Efesto capace di accendere la più bella e potente delle braci dove cuocere quel che Atena mi ha suggerito in sogno. Sogno che vi ripeto chiuderà questa ventennale guerra.

Smontate le tende e i vostri accampamenti e cercate nuove generazioni e nuovi generi, nuove creatività, per asfissiare con nuove idee e nuovi sogni l’“inesistente”, il nero, le tenebre, il demotivante e il demotivato, il cinico che si finge intelligente per essere defi-ciente, l’indecente che si fa manifesto e che ci accusa di moralismo dal suo orgiastico onanismo.

Scompariamo alla loro vista cercando ridossi di insospettabili isole e aspettiamo pazienti che il dono abbandonato fuori dalle mura di chi ormai si sente assediato li convinca di una loro insperata vittoria, trasformandoli da pavidi quali sono in finti coraggiosi.

Lasciamoli da soli con davanti una Troia che presto sarà fumante, non più città, non più stato, non più una donna, non più un animale, senza più alcuna etimologia. Con i loro urlanti ministri trasformati in osceni e improbabili menestrelli capaci solo di circondare il re, beato e sorridente innalzato dai suoi scribani ad eroe senza dei e senza uomini.

Usciranno dalla pancia del cavallo i nostri giovani, le nostre donne, le loro idee, le loro nuove e antiche lingue, con la loro vita che sarà sempre più loro e sempre meno nostra, perché è così che va dalla notte dei tempi, e la peggiore delle tragedie si trasformerà come sempre in generoso letame per nutrire nuove civiltà.

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