Fine d’anno amaro per la Apple e per i giganti di Internet, da Google a Facebook, da Yahoo a Netflix, il servizio online di noleggio dvd e videogiochi. Paul Allen, il miliardario americano co-fondatore della Microsoft, torna infatti alla carica per reclamare la paternità di alcune tecnologie utilizzate da questi siti.

Allen aveva già tentato le vie legali lo scorso agosto per dimostrare di essere in possesso del brevetto originale: il suo ricorso, però, era stato respinto dal giudice per mancanza di precisi riferimenti alle tecnologie in questione. L’Huffington Post, uno dei primi siti a riportare la notizia, si chiede se questa volta il miliardario avrà maggior fortuna. Per riuscirci, Allen ha stilato un elenco dettagliato di tutti i casi in cui Apple e compagni utilizzerebbero, senza permesso, le tecnologie brevettate dalla sua azienda. Fra le applicazioni citate, ad esempio, c’è il sistema che fa comparire all’utente i suggerimenti di altri siti mentre sta navigando su una pagina web. Allen, convinto che la maggiore accuratezza del suo ricorso possa convincere il giudice a procedere nella causa, chiede che l’invenzione di queste tecnologie gli venga riconosciuta e pagata da chi le utilizza. Ma da Google ribattono: “Si tratta di un nuovo attacco contro una delle più innovative compagnie esistenti”, a conferma di un “trend poco felice in cui si cerca di prevalere nelle aule giudiziarie piuttosto che sul mercato”.

L’iniziativa legale di Allen si aggiunge alla class action che potrebbe partire a breve contro Apple. Il 23 dicembre scorso, infatti, un cittadino di Los Angeles, Jonathan Lalo, ha presentato un primo ricorso contro la casa di Cupertino, che sarebbe responsabile di consentire violazioni della privacy: secondo Lalo, i due “giocattolini” Apple trasmettono informazioni personali degli utenti agli inserzionisti attraverso alcune applicazioni per iPhone e iPad, come Pandora Radio, Paper Toss, The Weather Channel e Dictionary.com.

Apple smentisce categoricamente che la trasmissione dei dati personali avvenga davvero senza il permesso dell’utente. Ma, secondo la testata Bloomberg report, le applicazioni inviano alcune informazioni su età, origini etniche, orientamento sessuale e altri dati sensibili.

Il 2011, dunque, non è iniziato sotto i migliori auspici né per l’azienda della mela, né per gli altri quattro giganti della Rete. Ma è ancora presto per capire se le denunce di Allen e di Lalo diventeranno i casi del nuovo anno.

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