“Mi sembra proprio che tutto stia finendo. Dobbiamo solo resistere ancora un po’, ma ormai sta finendo. E cosa sia la resistenza l’ho imparato studiando la vita di quest’uomo, Paolo Borsellino”. Ieri Roberto Saviano ha detto così mentre gli consegnavano il Premio Borsellino 2010. Sul palco del piccolo cinema Odeon, a Roseto degli Abruzzi, una grande commozione civile per riallacciare la fiducia in valori oggi depressi: onestà, doveri, diritti. Temi che tre città costiere, Roseto, Pineto e Giulianova, hanno raccontato per dieci giorni a ragazzi e cittadini chiarendo che l’Abruzzo non è  solo la terra dei governatori sotto indagine e del terremoto che serve a sciacalli e show governativi: il Premio Borsellino racconta un’Italia diversa.

Sul palco uomini che la malavita e il cattivo governo hanno messo nel mirino da tempo: Antonio Ingroia, procuratore a Palermo e presidente del premio; Salvatore Di Landro, capo della procura di Reggio Calabria, recentemente vittima di un attentato con tanto di bazooka; don Aniello Manganiello, sacerdote anticamorra appena trasferito da Scampia a Roma; Dario Vassallo in memoria del fratello Angelo, sindaco di Pollica, ammazzato per aver difeso il suo paese dalle aggressioni mafiose; Maurizio Artale, presidente del centro di accoglienza fondato da Don Puglisi.

Tutta gente che il giornalista Sandro Ruotolo, membro della giuria, ha ricordato come la parte normale e necessaria del Paese, eppure oggi stretta nell’emergenza, scortata da uomini armati, relegata all’isolamento materiale e culturale. “Sono tempi bui per la moralità politica” ha detto Ingroia, “non se ne può più di waka waka e bunga bunga” ha aggiunto Leonardo Nodari, organizzatore del premio. Ironica ma tagliente la risposta di Saviano: “A fronte di un governo che dichiara di aver debellato la mafia, noi abbiamo l’esempio di Borsellino, un eroe capace di dare metodo alla lotta contro corruzione e malaffare. Per questo ancora oggi fa così paura andare a scoprire quel che lui e Falcone sapevano. Ma ormai tutto ciò sta per finire, dobbiamo resistere ancora per poco”.

Tra gli applausi il commento di Di Landro: “Gli esempi istituzionali oggi mettono in seria crisi il modello sociale, è innegabile”. Cioè un premier che abusa del suo potere scavalcando un magistrato per affidare una minorenne a una sua amica è un pessimo esempio? “La legalità deve fermare il potere, non viceversa. I giovani hanno bisogno di insegnamenti alti: dalla famiglia, dalla scuola, e dai rappresentanti più autorevoli della nostra democrazia”. E dalla trincea di Reggio Calabria, tra attentati e kalashnikov piazzati davanti alla Procura, qual è la scena? “E’ dura, serve più continuità nell’azione di contrasto alle mafie. Non bastano le dichiarazioni e la grande solidarietà nei momenti di visibilità mediatica. Serve una tenuta costante del sistema, è quella che chiediamo per continuare il nostro lavoro”.

Anche Antonino Ingroia ha avuto una nota amara, aggiungendo un appello al governo: “Sono tempi bui per la morale politica. Ma dobbiamo continuare a chiedere verità, impegno, più chiarezza sulla storia del nostro Paese. Per questo faccio una richiesta esplicita, cioè che venga fatto tutto il possibile per spingere in avanti le indagini sugli anni delle stragi. Com’è possibile che il pentito Spatuzza resti senza scorta? Per bisticci normativi, ci dicono, ma sappiamo che se c’è la volontà di andare fino in fondo si può trovare una soluzione”.

Proprio le recenti rivelazioni di Spatuzza su oscuri movimenti sulla scena della strage di via D’Amelio hanno portato al premio un dolore in più. Quello raccontato da Agnese Borsellino, che solo tramite una lettera inviata ai giovani ha potuto partecipare alla manifestazione perché – come lei stessa ha rivelato – le sue gravi condizioni di salute le hanno impedito di essere a Roseto. Dice la lettera: “Leggendo con i miei figli le recenti notizie apparse in questi giorni sui giornali, dopo alcuni momenti di sconforto ho continuato e continuerò a rispettare le Istituzioni di questo Paese perché mi rendo conto che abbiamo il dovere di rispettarle e servirle come mio marito sino all’ultimo ci ha insegnato. Io non perdo la speranza di una società più giusta e onesta in grado di costruire un’Italia più giusta e onesta”.
Ascanio Celestini, premiato per la sua mania di criticare il presente con forza ironica, ha spiegato che purtroppo al momento il nostro paese somiglia a quello di una sua storiella, un posto dove i potenti hanno deciso che a scuola l’unica materia da insegnare è la fila indiana, l’ordine e l’obbedienza, la necessità del senso unico. Giorgio Tirabassi, già interprete di una fiction su Borsellino, ha confessato che quando gliela proposero disse no: troppo difficile il personaggio, troppa attenzione. Ma tra le carte che aveva messo insieme per studiare la vita del magistrato trovò quella in cui spiegava che anche lui aveva molta paura, ogni giorno. E che senza il coraggio quella paura lo avrebbe ucciso. Tirabassi, e tutti quelli che l’hanno applaudito, sono usciti dall’Odeon con un po’ di forza in più.

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