Non riesco a restare indifferente dinanzi ai poveri. Soprattutto ai bambini. Vedendo un bambino tendere la mano al semaforo o davanti a un supermercato, provo estrema vergogna per tutto ciò che potevo fare e non ho fatto. Non è un senso di colpa, a me estraneo, ma un senso di responsabilità nei loro confronti. Già, senso di responsabilità.

Spesso mi capita di parlare con questi bambini. A volte mi rispondono subito, altre volte ridono imbarazzati o sospettosi, altre volte mi mandano a quel paese. Ogni volta però si rinnova lo stupore di vedere come anche in simili situazioni i bambini riescono a conservare una straordinaria voglia di vivere. Ne ricordo due, Alin e Mari. Li trovai sul greto di un fiume che pescavano con una canna recuperata chissà dove. La loro “villa”, così chiamavano il ponte sotto cui vivevano, era a un centinaio di metri dal posto dove li incontrai. Erano poveri, anzi poverissimi. In attesa che il mondo della politica se ne occupasse, vestivano di quello che qualche anima buona gli aveva procurato. Pochi mesi prima un incendio aveva bruciato il sottoponte dove erano accampati con i loro parenti. Le fiamme li risparmiarono, ma portarono via il loro piccolo cugino e altri tre bambini. Una realtà devastante, eppure quando li incontrai mi parlarono dolci, sorridenti e vitali.

Mi chiesi come sarebbe andata la mia vita se anch’io fossi nato sotto quel ponte. E se anch’io sarei riuscito a tenere intatta la voglia di vivere e la capacità di sorridere.

Non riesco a restare indifferente davanti agli ultimi. Sento forte la responsabilità verso i dimenticati. Così, provo a scrivere di loro, a imbastire spettacoli teatrali che parlino della loro vita. A volte provo anche ad aiutare concretamente perché credo che in una notte invernale per un bambino in difficoltà, una stufetta sia più utile di profondi e altisonanti discorsi fatti dall’alto della propria cattedra. Dopo aver spronato i politici, e nell’attesa che la burocrazia si muova, esiste solo l’azione. Non amo chi si erge a difensore dei poveri stando dietro la propria scrivania o predicando dietro un altare. Al pensiero deve sempre seguire l’azione. Anche piccola, piccolissima, ma azione immediata. A che vale vedere un uomo affogare se poi non si fa nulla per aiutarlo. Il tempo di un bel discorso sulle precauzioni o sulle lezioni di nuoto che non ha preso e l’uomo è già morto.

Mi guardo intorno e vedo che non sono solo a pensare così. Tante donne, tanti uomini, tanti ragazzi provano a fare qualcosa scegliendo di usare una parte della propria giornata per agire aiutando chi è in difficoltà. Mi sento di ringraziare questa parte bella e silenziosa del nostro Paese.

E a chi li ritiene degli illusi, rispondo: meglio illusi che cinici.

Articolo Precedente

Autodelazione ludica

next
Articolo Successivo

Arriva la “freccia rosa”. Non per tutte, però

next