Domenica un titolo sulle sentenze da rispettare, ieri la virata

Dieci anni dalla morte di Bettino Craxi. Sufficienti per scrivere la storia, insufficienti per capire come. Tra vie e parchi da intitolare, tra proposte e frustrazioni, il Corriere della Sera con Luigi Ferrarella prova a separare i colori politici, i fatti dai pareri, le emozioni dalle speculazioni. Poi ci ripensa con Pierluigi Battista.
Domenica in prima pagina c’era un commento di Ferrarella, cronista di giudiziaria, già il titolo è un repellente contro le interpretazioni vaghe: “Le sentenze su Craxi sono carta straccia?”. E Ferrarella argomenta. Spiega: “Può un pluricondannato essere uno statista? Certo che sì, a patto di non pretendere che il riconoscimento del suo oggettivo rilievo storico passi la spugna sulle responsabilità accertate”.

Quelle sentenze esecutive elencate dal Corriere che, al riparo dalle opinioni, rendono una latitanza l’esilio volontario – per gli amici – nella tunisina Hammamet. L’equilibrio è caduco, dura un giorno, pende all’improvviso da una parte: indica il Craxi statista e rigoroso, il presidente della scala mobile e del no di Sigonella agli americani. Il Corriere rilegge il Corriere con una pagina intera piegata sui risvolti privati dell’ex segretario socialista: apertura sulle dichiarazioni della figlia Stefania a Lucia Annunziata durante la trasmissione di RaiTre In 1/2 ora (“Craxi come Berlusconi. Giusto non farsi processare”) e taglio basso con intervista a Biagio Agnes, l’ex direttore generale della Rai conterraneo di Ciriaco De Mita (“Non ho mai capito perché Bettino non tornò. Con me fu un potente ma dalla grande umanità”).

L’articolo di Ferrarella viene corretto, quasi lettera per lettera, dalla rubrica di Battista: “Non riduciamo Craxi ai suoi guai giudiziari”. E più nel merito: “Anche Helmut Kohl ha avuto i suoi guai giudiziari, ma nessuno – prosegue Battista – si sognerebbe di disconoscere la sua statura di statista o di oscurare il suo ruolo. Ha ragione Luigi Ferrarella a ricordare che ha subìto condanne passate in giudicato. Ma una feroce damnatio memoriae ha sin qui avuto l’effetto di annullare o immeschinire la figura di Craxi”.

Ferrarella aveva evitato qualsiasi allusione, neppure un anelito alla damnatio memoriae, aveva disteso in poche righe un semplice concetto: perché i politici chiedono sentenze definitive e poi all’arrivo le ignorano? “Non si scioglie l’ipocrisia che, a ogni inciampo giudiziario di un potente, fa salmodiare la litania ‘aspettiamo, attendiamo che la giustizia faccia il suo corso…’ – e qui Ferrarella cita la fedina penale di Craxi – ecco che quelle stesse sentenze, così tanto invocate quando servono a rinviare un’assunzione di responsabilità, di colpo è come se non valessero più nulla”.
Sbagliato, vira forte all’indomani il Corriere. Perché per Battista il Craxi da riportare nei libri di scuola è “un grande del socialismo europeo, un riformista, un difensore di vittime e dissidenti”. Per farla breve, insomma: uno statista. Che avrebbe diritto a un posto nella toponomastica di Milano.

Quella città che – aveva ammonito Ferrarella – per la metropolitana aveva speso 192 miliardi di lire a chilometro contro i 45 di Amburgo. La città delle tangenti e del faccendiere Mario Chiesa. Smontato Ferrarella, il Corriere – sin dal 29 dicembre – discute sulle targhe e le strade. E chiede a Gianni Cervetti, ex del Partito comunista: “Io sono d’accordo, superiamo l’astio”. D’accordo tutti. O quasi.

Da Il Fatto Quotidiano del 5 gennaio