Turchia, quello che sappiamo non è vero

24 Luglio 2016

Soltanto Emma Bonino, tra i pochi veri esperti di politica internazionale, ha detto: “Abbiamo appaltato tutto alla Turchia, anche il nostro diritto di sapere”. Soltanto Antonio Ferrari, fra i giornalisti di prima linea, professionale, ha scritto subito sul colpo di Stato in Turchia (Corriere della Sera): “Non vedete? È finto”.

Entrambi sono rimasti soli. Erano le ore in cui, nel cuore dell’Alleanza Atlantica e in un Paese candidato alla prossima Europa, la notte del 15 luglio stava nascendo, con armi e danaro forniti dagli Stati Uniti e dall’Europa il grande Stato islamico. È del tutto estraneo alle regole democratiche e ai diritti umani, ma con forte potere economico e di ricatto, che il mondo arabo non era ora riuscito a fondare, salvo il tentativo del Califfato, che è diventato solo un cartello di terrorismo free lance.

Ciò che è avvenuto (e non è avvenuto) la notte del 15 luglio 2016, e che ha cambiato i destini del mondo, certo di questa area del mondo, non è reversibile. Non c’è alcuno spazio di normalizzazione senza sottomissione (o senza il ritiro di Erdogan). Questa è sempre stata la terribile alternativa da quando l’estremismo islamico, travestito da religione, ha cominciato a incarnarsi in partiti, eserciti e Stati.

L’incubo consiste adesso nella inaugurazione, aperta e improvvisa, nel mezzo di Paesi legati fra loro da una alleanza stretta e difficile da sciogliere, di un regime ostentatamente crudele che crede nel sangue, sul modello di Saddam Hussein e di Muhammar Gheddafi.

Il primo colpo, la fuga di Erdogan per due ore, e la vendetta immensa e ben preparata del suo ritorno, è stato assestato con esibizionismo selvaggio. Il nuovo Erdogan, dopo il “golpe” (golpe breve e ignoto, che ci è stato raccontato come “il tentativo fallito di uno Stato parallelo”) lavora, in assoluto isolamento, alla creazione di un mondo repellente a tutto ciò che, in modo più o meno coerente, ha legato per decenni la Turchia alla parte del mondo con cui ha convissuto.

Dunque non c’è speranza e non c’è ritorno. Perché allora questo silenzio, che va da Obama alla signora May, nuova leader inglese, dalle democrazie del Nord al Portogallo e alla Spagna, e include una prudentissima Italia? Anche i media non sono scatenati. Se possono tacere tacciono, altrimenti l’uno gira la notizia di agenzia dell’altro e i commentatori si astengono o frenano.

La cosa più sicura e la meno discussa è il grido perduto di Antonio Ferrari: “Non vedete che è tutto finto”? La sola verità disponibile sta nelle parole della Bonino: “Abbiamo ceduto alla Turchia persino le vite dei profughi”. Purtroppo ha ragione Erdogan quando dice, con tono debitamente offeso e offensivo: “Nessuno può darci lezioni di diritti umani”. È vero. Nessuno lo fa e nessuno ci prova. Corpi nudi ammucchiati a centinaia, con le mani legate, gettati per terra in modo che non possano muoversi da posizioni umilianti e impossibili, esibiti apposta per dire alto e chiaro che non c’è ritorno, sono il camion impazzito di Erdogan che attraversa cancellerie e parlamenti del mondo senza incontrare nessuno che lo fermi. Non ha insospettito nessuno il fatto che Erdogan tenga anche adesso la sua folla in piazza (le bandiere erano già pronte a centinaia, prima del primo carro armato) e non voglia saperne di “tornare alla normalità”? Perché Erdogan vuole la rabbia della folla contro un numero altissimo di presunti colpevoli, invece di mettere in scena festa, affetto e tributo per la sua salvezza e il suo ritorno?

Patetico è anche il suo continuo accusare un vecchio rivale in esilio, che fino a un momento prima aveva esercitato una influenza forte e nota (ci dice ogni notizia disponibile al riguardo) in tanti luoghi di giornalismo e di cultura della Turchia, dove adesso decine di migliaia di presunti colpevoli vengono arrestati. Si intravede una serie di trappole, lungo questo percorso. Alcuni le hanno viste (i deputati dell’opposizione, che già prima del golpe venivano tenuti sotto accusa di tradimento) e non si sono mossi. Come hanno fatto altri (generali, alti ufficiali, alti burocrati, giornalisti importanti) a non vederle?

È possibile anche che ci sia stato un cambio di piani e che alcuni telefoni abbiamo squillato e altri no. Ma il fatto che un numero così alto di “colpevoli” venga perseguito e perseguitato fa pensare a una preparazione preventiva e accurata. Liste come quelle dei nemici della “democrazia” di Erdogan non si improvvisano.

Dunque una sola cosa è certa: qualunque cosa sia successa nella nuova Repubblica islamica di Turchia, tutto quello che ci dicono della sua nascita, tra inganno e violenza, non è vero.

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