L’inchiesta

Spagna senza governo da 8 mesi? Nessun problema: l’economia cresce. Esperti e intellettuali: “Non può durare”

Tiqui-taca nelle urne - Da 8 mesi Madrid è priva di governo, l’economia (per ora) cresce. Ma esperti e intellettuali avvertono: “Non può durare“

Di Elena Marisol Brandolini
9 Settembre 2016

Che si possa vivere senza governo è un fatto che l’esperienza spagnola conferma: da oltre 8 mesi infatti non c’è un esecutivo, né un’opposizione né controlli parlamentari. D’altronde, il Belgio si è trovato per quasi due anni in condizioni analoghe. La vita continua, l’economia cresce a ritmi del 3%, i turisti stranieri tornano, chi ce l’ha va al lavoro, riaprono le scuole e il campionato di calcio promette nuove illusioni. I partiti non si mettono d’accordo e forse si andrà a nuove elezioni sotto Natale, le terze in un anno.

In Rete prevale la satira, la situazione è trattata come una telenovela che può lasciarsi e riprendersi in qualunque momento, o come un videogioco. Sui social l’indignazione si chiama “vergogna”, “corruzione”, la partecipazione “fatica”, “sfinimento”. Ma ci si schiera anche nelle lettere inviate al quotidiano progressista El Periódico de Catalunya: la paura delle consultazioni popolari, la crisi della democrazia delegata, la responsabilità della politica, la forte presenza delle ideologie, sono alcuni dei temi trattati dai lettori. Ma quanto può reggere un Paese in tali condizioni? Chi ne paga le conseguenze? Lo chiediamo ad alcuni interlocutori locali, rappresentanti di entità sociali e del mondo della cultura.

La Ue vuole che vengano fatti i compiti a casa – “L’economia comincia a registrare una decelerazione della crescita – dice Jorge Uxó, economista, docente alla Universidad Castilla La Mancha. “Un Paese può vivere senza un cattivo governo, ma non senza un buon governo”. “La ripresa è basata su pilastri molto fragili. Può mantenersi per inerzia per un certo tempo, ma per un altro modello di sviluppo è necessario un governo che prenda decisioni diverse da quelle degli ultimi anni”. “L’Unione europea non sta facendo pressioni perché ci sia un governo qualunque, ma perché ci sia un governo che adotti le misure che si stanno dettando da Bruxelles”.

“Non c’è bisogno di un governo qualunque, ma di un governo che cambi le politiche – dichiara Fernando Lezcano López, segretario della Comunicazione di Ccoo. “Il problema si evidenzia nelle iniziative che erano in marcia e rimangono ferme e nella necessità di cambiare politiche”. “La ripresa c’è nonostante la politica del governo, non grazie a questa. Ma quello che dicono i dati sull’occupazione è che non siamo usciti dalla crisi”. “Ci sono cose che incidono sui lavoratori più dell’assenza di governo – suggerisce Rafael Caña, direttore della Comunicazione di Ugt – come la riforma del mercato del lavoro del PP, l’amnistia fiscale, i tagli nei diritti e nelle prestazioni sociali”. “Il dato che rivela la distruzione di occupazione è la caduta delle posizioni contributive nella sicurezza sociale”. “Si dice che una paralisi politica manifesta i suoi effetti sull’economia reale in tre-quattro trimestri. È vero che nei primi mesi non si è notato, però nel medio e lungo periodo l’inerzia della ripresa comincia a perdere slancio e iniziano a vedersi gli effetti sulla nostra economia”, avvisa Francisco Aranda, portavoce della Confederación Empresarial de Madrid della Ceoe. “Questa situazione ha effetti sugli investimenti, perché se non c’è la sufficiente stabilità l’investitore se ne va da un’altra parte”. “Quello che ci manca di un governo è riprendere in mano le redini delle riforme per eliminare la rigidità del mercato del lavoro”.

I cittadini si sentono abbandonati dai partiti – “Non è buono per la democrazia che dopo elezioni generali non ci sia modo di veicolarne o articolarne l’esito”, afferma Jordi Giró, presidente della Confavc, l’associazione catalana dei residenti. “I cittadini non sono disinteressati, sono arrabbiati perché vedono che chi dovrebbe assumersi la responsabilità la riversa sulla cittadinanza”. “Non è vero che non c’è governo, c’è un governo in funzione che fa quello che gli pare e che è ricorso alla legge catalana del 2015 sull’emergenza abitativa e la povertà energetica”, denuncia Carlos Macías, portavoce della Plataforma Afectados por la Hipoteca di Barcellona. “A chi ha problemi di alloggio interessa un governo che si occupi di questi problemi”.

L’occasione della Catalogna – “Qualcuno potrebbe dire che l’assenza di governo è un’opportunità per il movimento indipendentista perché mostra la debolezza dello Stato – ammette Jordi Sánchez, presidente della Assemblea Nacional Catalana. “Io però penso che è importante che ci sia un interlocutore nel pieno del suo mandato e con volontà di negoziare. D’altra parte, noi catalani abbiamo tutti gli strumenti per iniziare il processo di convocazione di un referendum e perciò non siamo necessariamente in attesa di ciò che succede in Spagna”. “La questione catalana in questo momento è determinante, se uno dei candidati accettasse di fare un referendum di autodeterminazione in Catalogna già ci sarebbe un governo”.

Il vecchio modello bipolare frena il Paese – “Diverse ragioni spiegano perché non si riesce a fare un governo, sostiene Jordi Matas, politologo, docente alla Universitat de Barcelona. “In primo luogo dipende dalla storia che ci portiamo appresso con le prime elezioni democratiche del ’77 e una struttura bipartitica che ha generato una cultura politica bipolare e un’incapacità di dialogo. Ora questa struttura bipartitica si è rotta ma permane quella cultura politica”. “Poi ci sono altri fattori come la corruzione che riguarda il PP, che è un freno alla disponibilità di accordo con questo partito. Ci sono le forze emergenti come Podemos, la cui modalità e ideologia non sono troppo compatibili con il Psoe. Ossia, abbiamo quattro forze politiche che è complicato mettere assieme”. “A ciò si sommano i partiti indipendentisti catalani che rispondono a un’altra logica e le cui rivendicazioni rendono difficile l’accordo con altre forze politiche”. “Infine, nel nuovo sistema pluripartitico si ha l’aspettativa di crescere elettoralmente e questo rende tutti più prudenti, preoccupati di esporsi”.

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